Marketing culturale: cos’è “cultura”
In questi giorni, una diatriba piuttosto social si è aperta su “influencer & cultura“, partendo da un selfie della Ferragni (“selfie della Ferragni” è uno di quei rarissimi casi di insieme di significanti senza freccia). Se c’è qualcosa che genera mostri linguistici e astrattivi è una discussione su cultura e arte calata su piattaforme di massa.
Per qualsiasi approfondimento sul marketing culturale è necessario disporre di un minimo vocabolario condiviso, definendo i concetti di cultura, per quanto complesso, e di marketing, per quanto vasto.
In questo articolo mi dedico alla definizione di cultura e più precisamente all’etimo che fa derivare tale termine dal latino colĕre dal vario significato, tra cui quello più adottato di coltivare e un altro, spesso sottolineato da Carmelo Bene, rifacentesi a Jacques Derrida, che attiene a colonizzare.
La derivazione da coltivare è di più facile e comune lettura, e possiamo considerarla da due punti di vista diversi. Il primo riguarda la cura, l’attenzione e la considerazione che spettano a ciò che il pensiero e l’opera umana hanno prodotto nel tempo. A questo può essere correlato il concetto di “conservazione dei beni culturali”. Il secondo punto di vista, più canonico, riguarda l’individuo verso sé stesso, con l’insieme di attività intellettuali che deve mettere in atto, giorno per giorno, per crescere come persona, al pari di una piantina nelle mani di un agricoltore.
Particolarmente interessante per la trattazione in esame è la seconda accezione presentata, quella che ne vede più diretto collegamento al termine colon. Anche questa può essere valutata da due punti di vista differenti. Una prima riguarda l’ambito socio-politico, cioè quell’insieme di vettori che la società riversa su un suo componente: usi e costumi, educazione, sistemi ideologici, politici, filosofici, religiosi, ecc… Particolarmente legato alla colonizzazione, in senso stretto, laddove rappresenta l’invasione culturale da parte di una società predominante su altre, resta un concetto valido in senso lato, cioè di un qualsiasi sistema sociale nei confronti di un individuo.
Come per il primo significato, anche in questo caso è possibile dedurre una seconda valutazione con un metro meno sociale e più individuale: la colonizzazione che un’opera di cultura, in particolar modo artistica, realizza, emozionalmente, nei confronti di un suo spettatore. In tal caso si può dire che è l’artista a comunicare, da un’interiorità a un’altra, come nelle arti performative, quali il teatro o la musica, o comunque è l’opera stessa a invadere chi la visita, venendone a sua volta visitato. Questo, però, differentemente dall’accezione precedente, non implica la prigionia di un dominio, bensì comporta anche un atto di liberazione, in cui il visitatore cede a un abbandono, spogliandosi del proprio io, lasciandosi pervadere, provando così emozioni che l’opera d’arte gli consente e gli suscita, fino agli estremi dell’estasi o dell’affezione psico-somatica detta sindrome di Stendhal, dal nome del famoso scrittore che ne fu colpito visitando le città italiane, infatti anche conosciuta come sindrome di Firenze.
Possiamo quindi avvicinarci all’uso più quotidiano che si fa del termine, quale sinonimo di vastità di conoscenze, se intendiamo quelle maggiormente colonizzanti, quindi formative, accettando una perversione “positiva” del concetto.
A questo punto, nei vari ambiti di discussione, ogni volta, occorre che si indichi a quale accezione del termine cultura si fa riferimento. Solo fatto questo potremo poi, dopo una esplicitazione tecnica di cosa si intenda per marketing, avviare un serio dibattito sull’eventuale mercato della cultura, su cosa sia, quali obiettivi possa avere e quindi quali strumenti considerare validi e opportuni, senza rischiare di creare un futile motivo per tifoserie da social o chiacchiere da bar, quanto mai fuori luogo e tra sordi.