Le grotte di Lascaux per la prima volta in Italia

Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, a partire dal 31 gennaio, l’esposizione “Lascaux 3.0” consentirà ai visitatori di scoprire il celebre complesso delle Grotte di Lascaux, il capolavoro del Paleolitico Superiore. Una buona occasione per perdersi in una magia senza tempo.

Se volete comprendere cosa significa realmente “sito patrimonio dell’umanità”, andate a visitare la mostra Lascaux 3.0 al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Se volete conoscere il significato concreto che si cela dietro quella che può sembrare una semplice etichetta, ritagliatevi la possibilità di restare senza fiato dinanzi a un capolavoro dell’arte, realizzato circa ventimila anni fa nel Sud-ovest della Francia.

Le grotte di Lascaux, intrise di fascino e magia, rappresentano forse il solido esempio di come, nel tentativo di coniugare fruizione e conservazione di un bene archeologico, ci si possa trovare nella condizione di prendere decisioni drastiche. Per fortuna, le scelte del passato ci consentono ancora oggi di rivivere la meraviglia della scoperta; anzi, grazie alla tecnologia, tale meraviglia è resa ancora più a portata di mano, pur senza esserne sacrificata nel fascino. Certo, difficilmente potremo mai comprendere l’emozione di chi per primo, al lume di una lampada, rimase senza fiato dinanzi allo spettacolo nascosto dalle grotte: ma, almeno, abbiamo ancora la possibilità di farcene un’idea.

Storia di un ritrovamento

Anno 1940, l’umanità ha già portato avanti la propria corsa verso l’auto-distruzione. A posteriori, quello che accadde in quel settembre assume dei connotati quasi escatologici: una voce profetica sembra gridare dalle pareti di una cava fino ad allora ancora sconosciuta, esortando l’uomo a ricordare chi fosse, quali gesta straordinarie potesse compiere senza che ciò implicasse l’odio e la violenza. Le versioni che circolano sulla scoperta delle grotte sono un paio; nella più nota, il protagonista, come nelle trame più ovvie, è un cagnolino chiamato Robot, portato a spasso dal suo giovane padrone Marcel Ravidat, che si infila in una buca creando una piccola frana. Il ragazzo comprende che, al di là della piccola buca che si è creata, c’è un ambiente ampio e ipotizza di aver individuato un passaggio sotterraneo collegato al castello della sua cittadina. Solo quando tornò con alcuni amici, quattro giorni dopo, si rese conto di aver scoperto qualcosa di realmente inatteso: un capolavoro dell’arte rupestre.

In realtà, la zona della vallata del Vézère è ricca di siti preistorici risalenti al Paleolitico Superiore; l’eccezionalità di Lascaux, tuttavia, salta immediatamente all’occhio, grazie alla ricchezza delle sue raffigurazioni e dei suoi pigmenti, con la bellezza a tratti inquietante dei suoi animali, diventati ormai leggendari. Come la vache noire, uno dei simboli del complesso di Lascaux, custodita in quell’area della grotta denominata “Navata”, laddove è possibile ammirare anche le celebri decorazioni ritraenti bisonti e stambecchi; o la figura umana, sola in mezzo a quattro animali; o ancora i cavalli, i felini, gli uri.

A partire dalla scoperta fortuita, la piccola comunità di Montignac inizia subito a prendersi amorevolmente cura del tesoro, difendendo l’intero complesso dalla minaccia rappresentata dagli attacchi militari e documentandone accuratamente le caratteristiche, grazie ad un minuzioso lavoro fotografico ancora oggi di elevato valore, realizzato dell’esperto di preistoria locale, l’abate Henri Breuil.

Conservazione impossibile?

Passata la guerra, ci si rende conto che il vero pericolo per la grotta di Lascaux è costituito dalla sua stessa scoperta: sigillati per millenni e custoditi nel silenzio, i disegni iniziano rapidamente a deteriorarsi. Le pareti letteralmente “si ammalano”, compaiono macchie, funghi e batteri rischiano di distruggere per sempre una delle più emozionanti testimonianze dei nostri antenati: l’impatto della folla, dell’anidride carbonica, è troppo pesante per un bene così delicato. Il sito va chiuso ai visitatori e ciò avviene nel 1963. L’eccezionalità della grotta ne fa un miracolo da custodire: per i nostri posteri, per chi eventualmente un giorno potrebbe venire a visitare il nostro Pianeta, impossibile dirlo.

Lascaux va protetto perché lì possiamo assistere materialmente a uno dei punti di svolta dell’essere umano: al suo interno possiamo respirare non solo un primordiale gusto artistico (secondo gli studiosi, gli autori lavoravano su delle primitive impalcature costituire da tronchi di albero, esattamente come gli artisti all’opera con le chiese dei secoli successivi) ma, soprattutto, sentirci pervasi da un senso religioso antico che, in qualche modo, ci avvicina ancor più agli ignoti realizzatori della magnifica opera.

Rivivere l’emozione

L’accurato lavoro di documentazione fotografica curato fin dai tempi della sua scoperta, ha fatto in modo che una copia di Lascaux fosse fruibile, a partire dagli anni ’80, per consentire a chiunque di ammirarla ancora una volta. Con l’avanzamento della tecnologia, allora, perché non esportare questa meraviglia? Così è nata Lascaux 3.0, una straordinaria unione di archeologia, scienza, tecnologia e didattica che non fa perdere la magia, ma, anzi, la restituisce ad un pubblico più ampio; dopo gli Stati Uniti, la Germania, la Francia e il Belgio, adesso la mostra fa la sua tappa italiana al MANN.

Occasione da non perdere – per chi può – per ricordarsi come il genere umano abbia ricercato da sempre la bellezza. E come questa bellezza, talvolta anche contro tutte le avversità, prepotentemente continua a venire fuori e a rifiorire.