Un astensionismo da Saggio sulla lucidità e c’è pure chi festeggia…
Dopo il successo del centrosinistra alle elezioni comunali (Milano, Napoli, Bologna, ecc.), la bolla politico-mediatica, da copione, si è mossa in fretta e furia nello spremere le percentuali uscite dalle urne alla ricerca di significati premonitivi.
La polpa: Salvini è in parabola discendente in quanto orfano della Bestia, in quanto inviso all’ala governista giorgettiana (apice occulto della catena di comando del Carroccio), in quanto fallimentare sul fronte “sfondamento al Sud” e in quanto non credibile nell’interlocuzione con Bruxelles.
Il retrogusto dolciastro (o amarognolo, punti di vista): la linea Letta, quella dell’alleanza congiunturale (e non strutturale) col M5S, funziona alla grande.
Manca tuttavia da siffatta spremitura l’adeguata considerazione per qualche dettaglietto non di poco conto.
In primis, la mole di astenuti da Saggio sulla lucidità, che andrebbe indagata a fondo. In secondo luogo, la scarsa rappresentatività delle tendenze politiche nazionali (in Italia e in tutto il mondo occidentale) esibita dal voto nei grandi centri. I quali, rispetto alla galassia sociale delle province, risultano più dinamici, più inclusivi, più solidi lavorativamente e con una classe media mediamente più progressista e meno dissestata.
L’illusione ottica è così riassumibile: i fomentatori d’odio performano male perché non riescono a rinnovare il repertorio (la Bestia è in standby), perché i fomentabili sono distratti da altro o perché non ci sono più i fomentabili di qualche mese fa grazie alla bacchetta magica di Draghi, campione assoluto di irresistibile serietà istituzionale. Ma è, appunto, un’illusione.
Le periferie esistenziali, di cui fanno parte tanto i confini sacri delle aree metropolitane – con il rispettivo carico di degrado urbano, architettura creativa e welfare criminale – quanto i piccoli centri delle zone interne dediti alla desertificazione occupazionale e demografica, a tempo debito, torneranno a impugnare le schede elettorali e torneranno a rovinare l’attuale festosità di chi, tra i molti inspiegabili abbagli (vedi Recalcati et similia), scorse in Renzi e nella scuola azienda la piena realizzazione del marxismo.
Quelle stesse periferie che baluginano nel discorso propagandistico mainstream unicamente a cavallo di scrutini nefasti, soprattutto a sinistra, di solito all’interno della celeberrima frase “dobbiamo tornare a parlare con le periferie”, come se fosse un problema di mera presenza fisica, di ascolto randomico, di linguaggio, di paternalismo colto e non di assenza di contenuti recepibili da proporre a chi viene giudicato, calvinisticamente e con imperscrutabile grado di consapevolezza, fuori dalla grazia di Dio in quanto povero, in quanto inidoneo al tritacarne della competizione sfrenata, in quanto inidoneo alla retorica dell’innovazione, in quanto inidoneo alla mitopoiesi dell’autoimprenditorialità, in quanto pigro accalappiatore di scorciatoie assistenziali.
Tassa patrimoniale e salario minimo sono tabù. L’idea di una no-tax area al di sotto di un certo reddito è tabù. L’idea che un under 40 possa ambire a una pensione è tabù. Il concetto di “rigenerazione urbana” è fatto della stessa sostanza di cui sono fatte le campagne elettorali. Eccetera, eccetera.
Temi urgenti con cui poter condire un riformismo davvero appetibile, finanche per le oscure periferie, che non trovano, e non possono trovare, asilo nei grandi contenitori partitici. Almeno finché gli stessi continueranno a essere finanziati dai principali attori di Confindustria. Ai quali sfugge, per cecità o per troppa concentrazione nell’abbattere i costi del lavoro, l’entropica depressione dei consumi (per perdita di potere d’acquisto) che ineluttabilmente andrà a consolidarsi in virtù della progressiva diminuzione degli stipendi.
La destra estrema (al 40%), infiltrata notoriamente da una destra ancora più estrema, propone la guerra all’immigrazione e un abbassamento generico delle tasse (flat tax) che gioverebbe poco a chi ha poco e molto a chi ha molto, spacciando il fritto misto per lotta all’establishment, che intanto ringrazia e spera.
Il centrosinistra provvisorio, dal canto suo, propone invece un dibattito instancabile sulla propria composizione unito a un’autocritica generica perpetua dei suoi ultimi venti anni ideologicamente rachitici. Senza mai mettere sotto processo, in maniera seria, l’attuale modello di sviluppo futuricida, che genera macellerie sociali e ambientali senza precedenti.
Idee forti e non risolutive da un parte. Idee deboli e non risolutive dall’altra.
Lucidamente, meglio astenersi dal festeggiare.