La rivolta cringe contro il cringe

Dopo lo scandalo di “petaloso”, una nuova polemica si è abbattuta sull’Accademia della Crusca. L’oggetto della discordia è stavolta la parola cringe. Il verbo inglese to cringe indica l’atto di farsi piccoli o contrarsi a causa di dolore, freddo o ribrezzo. L’uso fattone in rete negli ultimi anni, soprattutto su Youtube, ha portato però il vocabolo ad assumere anche il significato di “provare imbarazzo per le azioni commesse da qualcun altro”. Si verifica quando la vergogna è tale da coinvolgere anche lo spettatore, oppure quando si ascoltano alcune canzoni del primo Jovanotti. 

Questo concetto, che non ha una traduzione esatta in italiano, gode oggi di grande diffusione in rete, ed è facile imbattersi in frasi del tipo “che cringiata!”.  

Ma da cosa nasce la polemica? E poi, può la polemica sul cringe essere essa stessa cringe?

Il recente inserimento della parola “cringe” nella sezione del sito della Crusca dedicata ai neologismi dell’italiano ha suscitato lo sdegno del partito sovranista linguistico. La rivolta nasce dal fatto che, secondo gli utenti, l’accademia fiorentina avrebbe legittimato l’ennesimo anglicismo, decretando così la morte della nostra lingua, proprio nell’anno delle celebrazioni dantesche, legate ai settecento anni dalla morte del poeta. 

Per questo motivo sono apparsi su Facebook commenti del tipo: “Dante si sta rivoltando nella tomba!”, “La Crusca sta diventando cringe!”, “Ormai diamo la cittadinanza italiana a tutti, incluse le parole!”, “In inglese allora bisognerà dire imbarazzo!”, ecc. Tanta, tanta indignazione…

Ma perché, malgrado il livore, queste critiche non hanno senso?

Contrariamente a quanto si possa pensare – e così come è chiarito nella apposita pagina introduttiva –  un vocabolo presente nella sezione “Parole nuove” non entra in nessun dizionario e non riceve alcuna benedizione postuma da parte del Petrarca. La sezione ha il semplice scopo di documentare i nuovi usi del lessico italiano per renderli più fruibili, comprensibili per tutti. Nessuno quindi ha accettato o rifiutato il cringe. 

Per quanto riguarda i neologismi, il ruolo della Crusca è quello di osservare, descrivere, orientare. Sarà poi la comunità dei parlanti a decretare la sopravvivenza di una parola o la sua scomparsa, in base all’uso che ne farà.

Inoltre, si potrebbe aggiungere che, a differenza di altre parole inglesi decisamente alla moda ma dall’uso sostanzialmente gratuito, per esempio il delivery per la consegna, o food per cibo, la parola cringe ha un’utilità, non avendo un traducente preciso in italiano

Qualche tempo fa è stato proposto di tradurre il termine inglese con l’espressione vergogna vicaria. Sicuramente suggestiva, ma pochissimo adatta al contesto in cui si cringia. Anche in inglese esiste il vicarious embarassment e in tedesco ci sarebbe addirittura la possibilità di utilizzare un solo vocabolo, Fremdscham, vergogna d’altri. Tuttavia, in Germania come altrove, i giovani (ma non solo) continuano a utilizzare cringe, perché è questa la parola che fa parte del loro lessico e quindi del loro mondo.

Vi immaginate del resto qualcuno che, volendo usare un tono informale e familiare, dica: “Perbacco, che vergogna vicaria!”. Probabilmente no. E se lo facesse, siete sicuri che nessuno lo accuserebbe di essere cringe?