La resistenza di Lazise alle mozzarelle borboniche
Sbarca solenne e fiducioso nell’amena Lazise, sulle sponde orientali del Garda – merli medievali, cortesia veneta e balconcino con tanto di vigna secolare e vista sul porticciolo – l’impavido cinquantenne che si accinge all’impresa di fine stagione: giro in bici del lago.
Fiero, altero, sommessamente panzuto e, dopo ore di viaggio, discretamente affamato, egli osa, con piglio garibaldino, esplorare l’offerta gastronomica delle nordiche sponde. Anche con entusiasmo e – perché negarlo – anche una punta di sincera commozione.
In effetti, ho sempre sognato di essere settentrionale: mi piace il bergamasco, il nebiùn, il placido olezzo di diossido di carbonio con sfumature di porcilaia che accoglie il viaggiator autostradale appena dopo Bologna. I capannoni industriali, la tangenziale di Milano e l’idroscalo sono lo scenario del mio agosto ideale, passato a leggere Buzzati bevendo lambrusco&zanzare.
L’educazione in rigidi collegi sabaudi (tifo Juve segretamente) mi ha trasmesso l’amore per le melanconiche cascine vercellesi, per il generale Lamarmora e per l’operosa baldanza brianzola. D‘altronde alle sguaiate macchiette napoletane ho sempre preferito la delicatezza di Macario, la fragorosa risata di Gino Bramieri o il raffinato surrealismo di Cochi & Renato. Insomma, a nord di Firenze mi sento a casa, anche gastronomicamente: basta pizze alla vaccinara, carbonare alle cozze, paccheri, calzoni, amatriciane agliocipolliche, colature di cetaceo, cassate, cannoli e mappazzoni indigeribili vari.
Tuttavia, avrei dovuto paventare il peggio, l’eco greve del dialetto calabro ostentato da due camerieri in pausa sigaretta mi aveva già insospettito e, nella nostra epoca disgraziata, in cui Benevento diventa famosa per il sushi non dovevo aspettarmi altro.
Sull’offerta gastronomica di Lazise, in effetti, s’è abbattuta la furia di una spietata invasione neobobbonica fatta di pizze rotanti e spaghetti alle cozze laser, coadiuvata da un bombardamento a tappeto di pomodori di Pachino & mozzarella di bufala. Una colata luttuosa di nero di seppia s’è abbattuta spietata sui miei sogni.
Non mi ero reso conto che l’immaginario collettivo mitteleuropeo negli ultimi decenni è stato inesorabilmente sfigurato dai peggiori stereotipi gastromediterranei. Motivo per cui le algide bellezze germaniche ambosesso, appena traversate le Alpi, dimenticano la leggiadra digeribilità della platessa al burro e si trasformano in implacabili trangugiatori di piattoni di pasta allo scoglio unto, annaffiati da cisterne di #nerodavola da tre euro all’ettolitro, terminando la serata a sparare boiate con impatto sonoro da camionisti siculi impegnati una morra all’ultimo sangue. Sic Transit Gloria Riesling.
Mentre mestamente mi rassegno a trangugiare un sobrio piatto di Paccheri alla Sandokan (ovvero carbonara impreziosita da vongoloni veraci e stracciata di bufala diossinica di Casal di Principe), intravvedo in fondo a un vicolo le luci soffuse di una piola* (per il lettore meridionale: in piemontese, locale pubblico, modesto, di frequentazione popolare, in cui si vendono e si bevono vini e liquori). Mi appropinquo circospetto, temendo di esser travolto dall’ennesima camionata di rigatoni con pajata + cacio e pepe e fettuccine alla ‘ndjua e invece…
Invece, trovo un bar con cucina, sobrio e accogliente. In carta pochi piatti – otto in tutto – serviti a porzioni ragionevoli, tutti sotto 10 euro, qualche salume e formaggio selezionato con attenzione e una carta dei vini a prima vista interessante.
Entro titubante e speranzoso e m’accoglie un sorriso luminoso. Piuttosto che l’abituale cameriera sannita – ovvero una svampita che passa da lì per caso e ti ascolta con aria scazzata e un dito nel naso consultando il cellulare – trovo gentilezza, competenza e precisione; basta un consiglio azzeccatissimo sul vino a convincermi a dare carta bianca al servizio.
Niente pasta ovviamente, e già si vola: si inizia con una deliziosa zuppa di scalogno servita in un cipollone svuotato e appassito in forno a bassa temperatura (si mangia tutto), a seguire un uovo poché che lievita su una eterea spuma di burro e s’innalza a vette stellate grazie all’abbondante grattugiata di tartufo, poi arrivano le delicate tranche di cotechino accompagnate dalla pearà (salsa di midollo, piatto veronese) e si chiude (per chi come me detesta i dolci) con polenta abbrustolita al sale grosso e sardine di lago mantecate…un delirio di sapori inattesi.
L’impavido lombardoveneto che fieramente s’oppone all’invasione delle mozzarelle borboniche risponde al nome di Davide Pellegrino – abilissimo stratega, elabora piani d’attacco fulminanti a base di polenta & soppressa – mentre in prima linea signoreggia e soverchia il nemico l’impavida Giulia Zantonio, grazie a una conoscenza precisa di vini e abbinamenti: un’attenzione particolare che spicca in un ristorante senza stelle (per ora).
Esco felice, padanamente soddisfatto e mezzo ubriaco da questo piccolo posto d’incanto. Faccio – idealmente – due giri della piazza, esultando come Platini (ve la ricordate l’esultanza di Platini vero?) e mi fiondo a letto felice. Pregusto l’impresa del giro del lago e soprattutto la cena premio che mi aspetta l’indomani da Davide & Giulia.
Il successo, in fondo, è una questione di motivazione.
Pergolo – Vino e cucina
Via Calle Prima 8
307107 Lazise (VR)