La Scuola è morta, lunga vita alla scuola!

Stiamo vivendo ormai da mesi la più grande sperimentazione didattica mai vista per merito e colpa della pandemia, con lezioni che a singhiozzo vanno avanti in presenza e a distanza. Alunni e docenti scaraventati davanti al PC, armati di schermo e tastiera, impegnati per ore e ore, si adoperano a ricucire un tessuto sociale che in fondo è ciò che sostanzia un’educazione al sapere, un’educazione alla condivisione della conoscenza, sopratutto.

E’ evidente che di questa esperienza non si butterà nulla, a cominciare dall’abbandono del retroterra di semplificazione sul mondo della scuola.

Si spera infatti che essa non sia più vista solo come un presidio dello Stato, luogo scontato della legalità, ma luogo di educazione, qualora spicchi un tessuto umano prima che didattico, dove ci sia una condivisione di scelte, dove si costruisca una relazione che tutti si affannano a reinventare.

Come non dimenticare che in fondo col passare degli anni la scuola sia stata percepita e vissuta, per un retaggio diffuso tra gli italiani, come un mero luogo di lavoro, vista spesso come ammortizzatore sociale, dove gli studenti e le famiglie si sono relazionate all’istituzione solo come semplici utenti-clienti e non come veri protagonisti dell’educazione. 

Lontanissimi dunque gli anni ’70, quando furono emanati “i decreti delegati”, così in breve indicati per l’importanza delle innovazioni scolastiche. 

La legge delega del 1973 che al Titolo II che istituì gli organi collegiali è infatti di fondamentale importanza (e quanto mai da rivitalizzare oggi) perché, per la prima volta nella storia della Repubblica, affiancò gli organi collegiali alla gestione tipicamente amministrativa della scuola. 

Una vera novità per l’istituzione scolastica cristallizzata dell’epoca, distaccata dal contesto sociale e territoriale e frutto non di scelte partecipate.

Nel 2020 cultura significa per la scuola saper leggere i tempi, e con ineffabile zelo e tenacia i docenti hanno reagito alla situazione emergenziale adottando il nuovo strumento di integrazione offerto dalla rete, ognuno a suo modo e come meglio ha potuto.

Sono riusciti nell’intento di formare e sopratutto trasformare? Sono riusciti a dare il proprio contributo all’innovazione della didattica digitale integrata? 

Forse non è questo il punto o, almeno, ciò deve esulare da una valutazione che non conosce precedenti termini di paragone nella storia dell’istruzione italiana e mondiale.

Gli insegnanti non sono certo rimasti sagome sfocate di una proposta formativa, prima che didattica, e hanno infuso energia nel loro operato senza però avere una preparazione adeguata. Anzi, hanno inventato autonomamente una modalità che non c’era, laddove il Ministero dell’Istruzione si è limitato ad emanare delle linee guida per agevolare l’adozione di una istruzione telematica dando per scontato che tutti, studenti e docenti, disponessero di una rete e avessero familiarità con lo strumento digitale. 

Non manca un ampio uso di termini inglesi (flipped classroom, debate, repository, feedback) anche se spunta qualche citazione dal greco (agorà).

E’ pur vero che questo documento è pensato per i docenti, ma comunque sono linee guida volte ad agevolare il confronto a distanza con gli studenti e migliorare l’offerta formativa. 

E ancora, si sottolinea l’importanza di alcune strategie come la flipped classroom (classe capovolta) che è una delle modalità più deboli per sua natura già in tempi “normali”, per così dire: essa infatti fa affidamento sullo studio autonomo (ahimè) di argomenti e problemi nuovi (stupore!) da parte degli alunni, al fine di incuriosirli, per poi proporre in classe, magari con il cooperative learning (apprendimento cooperativo), la soluzione.

Sovviene spontanea la domanda di chi possa aver emanato tali linee guida, che magari in tempi di una didattica in presenza avrebbero potuto avere una logica prevedendo solo una mera appendice a distanza.

Non si capisce chi abbia potuto pensare di travasare tali metodologie didattiche in un contesto che ora è esclusivamente telematico e che paradossalmente rimarcano la schisi innaturale tra insegnanti e alunni. 

La Scuola è morta

Sembra che il Ministero dell’Istruzione abbia dimenticato cosa significa e-ducare (ex-dúcere: portare fuori) e che sia rimasto vittima delle proposte educative (neanche tanto innovative) del mondo anglosassone, tanto da far rimpiangere ciò che costituisce uno dei principi del medico Maria Montessori: il metodo di insegnamento è lo studente stesso.

La relazione umana e non telematica appare fondamentale per far diventare davvero l’insegnante l’organizzatore e l’osservatore dello studente.

Più che mai oggi deve essere dunque l’insegnante la figura centrale che si adopera a coinvolgere la classe virtuale con l’elogio della intramontabile e sempre efficace lezione frontale, adattata ovviamente alla contingenza emergenziale.

Dopo circa 50 anni dalla legge delega si presenta un’occasione di rinascita del sentimento scuola, una riscoperta dell’importanza degli organi collegiali, della partecipazione degli alunni e delle famiglie alla vita scolastica. 

La scuola quindi percepita nuovamente come luogo di formazione della volontà collettiva.

E che viva la scuola! 

Perché in fondo la pandemia offre davvero un’occasione di rinnovamento e rivalutazione dell’istruzione come momento di partecipazione e condivisione di una comunità.

Tuttavia, essa non può rinascere dalla firma autoreferenziale di qualche ministro per un’ennesima inutile riforma, ma spontaneamente, dal basso, su iniziativa degli insegnanti e delle famiglie che non hanno mai abbandonato i loro studenti. Perché ci importa e, come ci ha testimoniato Don Milani, giustamente in inglese, I care.