La scuola impigliata nel mantra della Azzolina
La scuola italiana è sotto attacco.
Lo ha dichiarato domenica scorsa a Repubblica Lucia Azzolina, Ministra dell’Istruzione. A rivelarglielo, sempre stando alle dichiarazioni rese a Repubblica, l’Ancodis, Associazione Nazionale dei Collaboratori dei Dirigenti Scolastici. Dominio internet, riportato sulla pagina social, non raggiungibile, gruppo Facebook 170 iscritti (sic!), pagina con 1900 like (questa piccolissima testata ne ha 3500, raccolti in sette mesi di attività).
Chi siano gli assalitori non è dato sapere. La vincitrice (quando era già deputata e componente della commissione istruzione della Camera, poco prima di esser nominata Ministra) del concorso per dirigente scolastico, offre indicazioni nebulose: “da tutti coloro che non riconoscono che quest’estate la comunità scolastica era a scuola col metro in mano…”.
Beh, dati alla mano e viste gli ultimi provvedimenti del Presidente Conte (ingresso dalle 9 per le superiori e valutazione di doppi turni) è forte il sospetto che la Ministra sottovaluti le proprie responsabilità.
Non le sono bastati sei mesi di chiusura forzata delle aule per mettere in piedi un sistema di organizzazione delle lezioni che tenesse in debito conto la possibilità, poi realizzatasi, di una correlazione “tra aumento dei casi di positività al COVID-19 e frequenza scolastica, verificata non solo limitatamente alla sede intrascolastica, ma anche con riguardo ai contatti sociali necessariamente “indotti” dalla didattica in presenza“.
Le osservazioni lapalissiane dei Giudici del Tar Campania, espressisi in ordine al ricorso contro la chiusura delle scuole disposta dal Governatore De Luca, non scalfiscono la Ministra che si muove per schemi ferrei quanto sordi.
Per la Azzolina la scuola è una sorta di enclave sotto il suo protettorato. Poco importa cosa accade fuori, in territorio di competenza di altri Ministri e amministratori. “La scuola è un luogo più sicuro di altri, i contagi sono solo allo 0,8%” è il mantra azzoliniano autoassolutorio.
Come se contagiarsi sugli autobus, nelle metro, nei treni, nei bar in ogni luogo di assembramento dell’infernale vortice azionato dagli orari concentrati delle scuole, che coinvolge anche soggetti estranei al mondo scolastico strettamente inteso, a partire dai genitori, non contasse o non fosse un problema rilevante.
Quel mantra sottende un’idea di governo del Paese a compartimenti stagni e deresponsabilizzato. L’importante è lavarsene le mani, scaricare altrove responsabilità piuttosto che trovare soluzioni complesse, armoniche e condivise.
L’ultimo DPCM, nonostante i ghirigori, i giri di parole, gli incisi, le precisazioni suona come una bocciatura di quell’impegno estivo citato dalla Ministra a Repubblica.
Conte, il capo del governo di cui la Azzolina è parte, a meno di un mese dall’inizio delle elezioni, ha imposto l’ingresso delle superiori “almeno” alle 9 del mattino. Pilatescamente, poi, per non oltraggiare la titolare della prima poltrona del dicastero di via Trastevere e passare il cerino, ha demandato alle autorità locali e ai dirigenti scolastici l’organizzazione di eventuali doppi turni. E con quali risorse finanziarie e umane dovrebbero organizzarli?
Il periodo di lockdown e quello successivo con gli edifici scolastici comunque serrati agli allievi sono passati invano. Non è stato fatto nulla di decisivo per limitare le conseguenze di una prevedibile recrudescenza dei contagi. Sono stati acquistati banchi a rotelle di cui nessuno comprende il potere antivirale e che tutt’oggi non risultano materialmente consegnati a tutte scuole.
L’allerta degli scienziati era chiara e avrebbe suggerito una profonda riorganizzazione delle attività didattiche, con una logistica allargata (anche attrezzando immobili inutilizzati) o la turnazione ampia dell’orario scolastico per evitare di congestionare gli ingressi e i trasporti.
Mentre la Ministra declina responsabilità, ci si interroga sul perché, tra la miriade di tavoli, non ne sia stato organizzato uno che coinvolgesse ministri, amministratori locali e società responsabili dei trasporti pubblici.
Sul perché e sul come sia possibile che ancora manchino docenti (mentre c’è la fila per insegnare) e non si sia pensato piuttosto di allargare la platea dei docenti per far fronte a una turnazione degli orari o a un frazionamento delle classi tali da garantire il distanziamento dentro e fuori la scuola.
Insomma, per stare a ciò che la Ministra ha dichiarato, forse più che usare il metro, la scorsa estate sarebbe stato opportuno usare il cervello, mettere in campo la capacità di elaborare soluzioni complesse e straordinarie.
Non potendo immaginare un deficit intellettuale in una Ministra – o forse si dovrebbe in questo scorcio di storia? – si è costretti a ritenere l’agire della Azzolina orientato da una precisa posizione che se fosse ideologica sarebbe già un bene, ma che invece appare esclusivamente di strategia propagandistica: come per il MES e contrariamente al limite dei mandati, vendere l’idea di inflessibilità, fomentare il convincimento per cui soluzioni semplicistiche possono risolvere problematiche complesse. A latere, l’incapacità di riposizionare il movimento rispetto alla narrazione di un rigore ferreo nella gestione del personale scolastico.
Ne è prova la vicenda del concorso straordinario, riservato ai docenti che abbiano maturato tre anni di insegnamento. Una procedura che coinvolge 65.000 professori precari, ogni anno assunti a settembre e licenziati alla fine del calendario scolastico. Vite precarie da anni, quando non lustri. A costoro il M5S, e la Azzolina in special modo, hanno manifestato sempre ostilità, radicata e alimentata dal rancore di chi ritiene i prof una classe di usurpatori di stipendi pubblici. Di chi è incapace di riconoscerne il ruolo essenziale alla formazione di una nazione forte e competitiva.
Così, per sottoporre a un concorso destinato a scartare persone cui a lungo lo Stato si è rivolto per mantenere in vita il proprio sistema formativo, anche la politica sulla gestione della pandemia è stata orientata a evitare di dover assumere, regolarizzare, immettere.
Nella scuola non si fa e non si è fatto ciò che invece è stato fatto negli ospedali: assumere in via straordinaria per sopperire a esigenze epocali e alla necessità di assicurare l’apertura stabile e sicura delle scuole.
È emblematico che le risorse siano state impegnate per acquistare oggetti (i famosi banchi) piuttosto che per acquisire e retribuire competenze di risorse umane.
Si inquadra in questa cornice di astio la fissazione delle prove del concorso, contro ogni logica e ogni esigenza, da domani a metà novembre, nel pieno del nuovo inerpicarsi della curva dei contagi e dei ricoveri. Con l’ostinata e alquanto cinica posizione della Ministra che esclude prove suppletive per i candidati contagiati o in quarantena. Un concorso per assunzioni da farsi tra un anno che condurrà decine di migliaia di persone a spostarsi per l’Italia.
Un merito va riconosciuto alla Azzolina, quello di perseguire il suo scellerato disegno con ferocia e inflessibilità straordinarie.
L’intero arco costituzionale, da Fratelli d’Italia al Pd, passando per Lega e Forza Italia, tutte le sigle sindacali, numerosi presidenti di regione hanno chiesto il rinvio di un concorso che appare surreale, al pari della resistenza della Azzolina. Il Consiglio Regionale della Lombardia, col voto favorevole anche del gruppo M5S, ha approvato ieri sera un ordine del giorno per il rinvio delle prove del concorso e per il suo superamento.
Occasioni per una uscita dignitosa ce n’erano, addirittura ce ne sono ancora.
In politica a tirar troppo la corda spesso ci si rimane impigliati.