L’attesa della catastrofe

L’inverno, un inverno memorabile, sta arrivando. Siamo messi male. Davvero male. Il peggio, purtroppo, potrebbe non essere alle spalle. Eppure, il tempo per allestire una barriera di frangiflutti sanitari solida, in grado di tener botta alla seconda ondata epidemica largamente annunciata, non è mancato.

Un’estate intera è andata sprecata o quasi.

Ad esempio, Poco è stato fatto sul fronte “contact tracing”, mentre Germania e Inghilterra, previdentemente, formavano squadre di alacri tracciatori, evitando di bamboleggiare con le favolette zangrilliane sulla nuova parabola subclinica del virus.

Pochissimo è stato fatto sul fronte “potenziamento del trasporto pubblico”, con autobus e treni congestionati come sempre. Potenziati, al più, sul piano mistico per una sovrapproduzione di preghiere da parte dei viaggiatori. Costretti ad affidarsi alle proprie intime metafisiche per ottenere un livello di biosicurezza accettabile e scongiurare, tra grovigli di mucose ammassate, l’inalazione di aerosol infetti

Niente è stato pianificato per quanto concerne il fronte “scuola”, se non banchi segati e protocolli demenziali. La didattica a distanza è stata scartata perché farraginosa, per mancanza di infrastrutture. La didattica in presenza è stata abbandonata al buon senso o al cuore impavido dei singoli presidi, quindi a se stessa.

I posti in terapia intensiva e i macchinari hanno subito un’implementazione, ma mancano rianimatori, anestesisti e personale infermieristico specializzato, soprattutto al Sud, con Regioni e Governo a rimpallarsi responsabilità, a tuffarsi con doppi carpiati dal pero, a riprogettare un passato prossimo che possa funzionare come sinonimo di efficienza nell’immaginario collettivo, essendo la retorica del “Modello Italia” ormai quasi decrepita anche nelle teste dei più ottimisti: un “Modello Italia” che, per carità, è pure esistito in quanto capolavoro, peraltro non replicabile, d’improvvisazione – con la scelta drastica, rudimentale e coraggiosa del lockdown nel bel mezzo di una democrazia occidentale – ma che, una volta ammortizzato l’urto pandemico primaverile, quando le parole d’ordine sono diventate organizzazione e prevenzione (Fase 2, Fase 3, eccetera), ha faticato a riconfermarsi.

Molti ospedali sono già in sofferenza ed è solo ottobre. E più gli ospedali soffrono, più la qualità dell’assistenza ne risente. Più la qualità dell’assistenza ne risente, più persone, altrimenti salvabili, muoiono. In alcune regioni le terapie intensive già rasentano la saturazione. Si parla già di lockdown dinamici, chirurgici, ecc. Si parla già di lockdown, di nuovo. Dell’incubo lockdown. Da scacciare dal discorso politico a ogni costo pur di non far venir meno il delicato equilibrio tra salute pubblica ed economia, tra panico caldo e panico freddo. Di continuo, non a caso, si negoziano significati e interpretazioni dei numeri epidemiologici per disciplinare i comportamenti, per riscaldare o per raffreddare la compravendita di beni e servizi, per riscaldare o raffreddare il panico.

Tuttavia, non c’è da temere. Il lockdown, quello generalizzato, al massimo, dicitur, potrebbe prender forma su base volontaria. Un po’ come avviene, in parte, con il tracciamento, considerato il perpetuo annaspare delle ASL.

Impensabile un ulteriore blocco totale imposto dall’alto. Un tempo non fatturabile non è sostenibile in un sistema economico insostenibile. La fatturabilità del tempo, con buona pace di Galli (che non vede “morti di fame per le strade, ma solo morti negli ospedali”), in un regime capitalista globale non può permettersi pause: d’altronde, non sarà certo il negazionismo sociale dell’infettivologo del Sacco a salvare, nell’eventualità di un secondo confinamento di massa, i poveracci d’Italia dallo strozzinaggio mafioso, dai debiti e dalla disintegrazione dei risparmi.

Persino la fatturabilità dello spazio non può permettersi pause, anche se lo spazio è un luogo di cura. Basti pensare che, in piena pandemia, “la Regione Lombardia ha stabilito che i dirigenti sanitari devono rispettare degli obiettivi di fatturato che portino gli ospedali al 95% degli obiettivi di fatturato raggiunti nel 2019″ e che “a questi obiettivi sono legati incentivi a medici e personale paramedico”.

Meraviglia delle meraviglie, dunque, l’aziendalizzazione della sanità. Meraviglia delle meraviglie l’aziendalizzazione dell’esistenza, dello spazio-tempo. Meraviglia delle meraviglie la diffusa impreparazione con la quale il “Modello Italia”, o ciò che ne resta, ci sta consegnando alla catastrofe.