La caduta degli dei, tranne Ibrahimovic
I match più eloquenti della quarta giornata del campionato di Serie A si sono giocati in anticipo, ieri. Un lungo pomeriggio di football protrattosi sino a orari ignobili secondo gli ultimi dippiciemme. Rotte le…mire del cronista, innocentemente intenzionato a immunizzare col vino il cruore dei propri affanni, costretto innanzi alla TV sino quasi a mezzanotte. Risultati non scontati, fondamentali per orientare la discussione delle prossime tre o quattro settimane e poco più. Ne diremo tra qualche riga. Prima due chicche della settimana.
Marketing abruzzese
Aureliunticcio (per chi non ricordasse l’origine del nomignolo qui attribuitogli rinviamo a questo pezzo) è davvero un genio (del male?). È riuscito a scroccare alla Regione Abruzzo, se n’è appreso da poco, la pecunia per il ritiro del Napoli a Castel di Sangro. I
prodi amministratori abruzzesi, non osiamo immaginare i pacchi di chiacchiere di Aureliunticcio, hanno ritenuto la presenza del team partenopeo leva di marketing turistico del proprio territorio. E hanno sganciato un milione (“u anima du criator” diceva un personaggio del caro, compianto Luciano De Crescenzo). Applauso ed encomio a De Laurentis.
Stadi garibaldini in periferia
Si diceva di dippiciemme, l’ultimo varato dovrebbe valere trenta giorni, ma forse durerà pochi attimi, ha riaperto gli stadi di provincia, periferia e paese. Insomma tutto il calcio minore riavrà il suo tifo, con le limitazioni già previste per i grandi: 15% della capienza dell’impianto e comunque non oltre mille ardimentosi.
Stadi garibaldini, insomma. Speriamo restino aperti.
C’è vita bella ai margini della serie A e della B.
Limoni e quota cento
Veniamo agli anticipi, massimo comun divisore e insegna della serata: la caduta degli dei.
Inizia l’Atalanta giunta al San Paolo, pensando a un giro tra i limoni della costiera di Surriento. Erano già tre quelli ingoiati dopo trenta minuti, addirittura quattro alla fine del primo tempo. Zero gol fatti in 45 minuti per la squadra che ha segnato 98 reti nel passato torneo e iniziato il nuovo con una media gol di 3,5.
I colleghi della tv del cielo, nelle abituali cronache dissociate dal gioco, hanno ripetutamente attribuito la défaillance ai troppi calciatori nerazzurri impegnati in nazionale. Insomma i figli di un dio minore partenopeo (o forse abruzzese), allenati dal calabro tignoso, legnavano i bergamaschi solo in virtù di maggior freschezza.
Il vecchio osservatore di pedate e scarpini, invece, pensa che l’asse 2- 1 – 1 composto da Manolas – Koulibaly, Bakayoko, Osimehn dia alla squadra di Gattuso un nerbo solido e ed efficace. Un trivello micidiale nel cui scavo finiscono, con effervescenza e precisione, i piroettanti Lozano e Politano, entrambi in gol.
Senza il monocorde Insigne, il Napoli è più forte.
Merito al Gasp per non aver assecondato le fantasiose scusanti piovute dalle voci del firmamento e aver ammesso la superiorità dei partenopei.
Manco il tempo di un tè che due palle sono già al centro. A Milano e Genova, San Siro e Marassi, sponda Samp.
Il risultato del derby meneghino s’era già intuito un quarto d’ora prima del fischio d’inzio, alla lettura delle formazioni ufficiali.
Il tenue Pioli, saggio e canzonatore, conosce bene la protervia ignorante del mister con più milioni in busta paga che capelli. Così, sul lato del buon terzino lento D’Ambrosio, ha schierato il panchinaro Rafael Leao, un Douglas Costa minore, veloce e dribblante, che nel caso in specie è parso da pallone d’oro.
Dall’altro lato della difesa interista, Kolarov ha esibito il dramma della vita a quota cento: lentezza, noia e guizzi fuori tempo quando si cerca l’emozione. Un horror. Per finire, sempre sul lato sinistro dei nerazzurri Perisic, versione mago, ha trasformato Calabria, altro panchinaro, in Sergio Ramos.
Solo demerito dell’Inter? Molto, si. Il Milan si esaurisce in due players: Ibrahimovic, il lato luminoso di quota cento, atletismo, potenza, volontà, provocazione, gol, e Chalanoglu, incantevole. Su questo duo, le intuizioni di Pioli hanno costruito una bella e meritata vittoria.
Intanto a Genova la Samp, data già spacciata da molti sconsiderati denigratori di Ranieri, ha annichilito il fantasma della Lazio. Molte assenze tra i biancocelesti e una difesa decimata e senza sostituti. A inquietare, però, è la vaghezza di quella che è stata una delle mediane più belle d’Europa. In mezzo al campo il tessuto del gioco laziale è sgranato. La seta è divenuta juta. Il motore pare avere qualche grippaggio e la potenza di fuoco dell’attacco, con e senza Immobile, fiaccata.
Quattro punti, quattro gol fatti e otto subìti, in quattro giornate. Inzaghi ha di che lavorare.
Ancora una volta impressionate il danesino blucerchiatio Damsgaard, nello scampolo di partita concessogli.
Fine serata nella città di Pitagora i cui teoremi reggono i millenni laddove quelli di Pirlo sbracano in 90 minuti. Ordinato il Crotone che, senza manco crederci più di tanto, blocca i bianconeri su un pareggio insulso. Gli assiomi Pirlici sgretolano anche il noto carattere bianconero. La squadra manca di quella foga che indubbiamente le è propria.
A metà tra turnover e voglia di lanciare i giovani si scioglie la fame di vittoria, il cosiddetto cinismo, in un ordinario spettacolo di grande decadenza. Emblematica l’espulsione del neoacquisto Chiesa.
Buona domenica.