Migrazione sanitaria: miliardi regalati al Nord
L’Italia è una Repubblica fondata sulla migrazione. Da Sud verso Nord. Che si tratti di ricerca del lavoro o che si tratti di assistenza medica inadeguata, il risultato non cambia. Tocca spingersi a Settentrione. Dove l’economia gira e la medicina funziona meglio. Dove la medicina funziona meglio proprio perché l’economia gira e dove l’economia gira, sorpresa delle sorprese, proprio perché la medicina funziona meglio. Infatti, la migrazione sanitaria da Sud verso Nord, di circa un milione di pazienti all’anno, vale, per le casse delle Regioni settentrionali, 4,6 miliardi (dato del 2018), stima a ribasso. “Scienza triste” e scienza medica, al di sopra della Linea Gotica, sembrano mostrare un notevole affiatamento.
Tutto ciò, in virtù del meccanismo di compensazione tra Regioni. Grazie al quale Lombardia ed Emilia Romagna, per esempio, vantano crediti superiori ai 200 milioni, mentre le regioni del Sud, in parti diverse, vantano un debito complessivo per oltre 300 milioni.
Le Regioni meridionali, a causa della sistematica fuga dei pazienti, si ritrovano a dover stanziare, a cadenza rigida, una fetta del proprio budget sanitario a favore delle Regioni settentrionali. Il che implica un dirottamento di parte dei possibili investimenti in strutture, macchinari e professionalità. In Calabria, regione in cui la tendenza migratoria raggiunge l’apice, il 7% del budget sanitario (circa 265 milioni) viene dirottato annualmente verso le regioni del Nord. Le quali, grazie anche ai soldi non spesi dalla Regione Calabria per la sanità del proprio territorio, possono migliorare ulteriormente l’offerta sanitaria, aumentando il divario.
Senza considerare che questa stima dei vantaggi e dei danni prodotti dal “mercato della sanità” è solo parziale. Il calcolo andrebbe ampliato tenendo conto di tutta una serie di costi indiretti legati alla mobilità: presenza di accompagnatori, vitto, alloggio, mezzi di trasporto, assenza dal lavoro (quindi, indebolimento della propria situazione professionale), permessi retribuiti, eccetera. Costi in senso stretto a cui vanno aggiunti costi di tipo fisico ed emotivo (stiamo pur sempre parlando di persone malate, in alcuni casi molto malate, che si sottopongono a faticosi spostamenti). Costi, in definitiva, per le Regioni e i cittadini del Sud che, di fatto, si trasformano in indotto per le Regioni e i cittadini del Nord.
Ed è persino inutile sottolineare che tali spese sono appannaggio di chi può permettersele. Per cui, il meridionale povero dovrà accontentarsi di un’assistenza sanitaria, in media, qualitativamente più bassa, mentre il meridionale benestante potrà fruire di un’assistenza, in media, più qualificata, bypassando le affollatissime liste d’attesa degli ospedali delle propria regione di partenza.
Darwinismo sociale, si direbbe, volendo dar colore e icasticità a una simile dinamica. Per la quale a sopravvivere è il più attrezzato economicamente, il migrante sanitario, mentre il poco attrezzato, lo stanziale sanitario, deve arrangiarsi, non partecipando al consistente volume d’affari che, come spesso accade nella nostra penisola, sposta capitali da Sud verso Nord. E la rendicontazione dei flussi finanziari effettuata in base agli accordi di compensazione tra le Regioni è davvero ad ampio spettro: ricoveri ospedalieri e day hospital (differenziati per pubblico e privato accreditato), medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali (inglobabili in ciò che qualche mercante della sanità ama chiamare “turismo sanitario”), somministrazione diretta dei farmaci, trasporto con ambulanza ed elisoccorso. Prestazioni e servizi a cui, lo si è detto, bisogna aggiungere, in termini di ricchezza prodotta altrove, l’indotto.
A questo magnifico risultato, ovviamente, contribuiscono diversi fattori. Per ragioni di spazio, se ne citeranno due. In primis, la sperequazione nella redistribuzione delle risorse pubbliche tra Nord e Sud, tanto per cambiare. In secondo luogo, il restringimento, nell’ultimo decennio, della spesa legata al Servizio sanitario nazionale. Con significative riduzioni del personale medico e infermieristico (-42.861 unità) che in alcune realtà territoriali sono state particolarmente traumatiche, anche per l’applicazione dei Piani di rientro (finalizzati a ristabilire l’equilibrio economico-finanziario attraverso un costante monitoraggio di alcune voci di spesa precedentemente sfuggite al controllo) e per i consequenziali commisariamenti.
E quando una Regione, su decisione del Consiglio dei ministri, viene sottoposta alla disciplina del commissariamento (in questo momento Calabria e Molise sono le uniche Regioni ancora commissariate; Lazio, Campania e Abruzzo lo sono state per più di un lustro) la Regione perde in automatico la sua potestà, incorrendo in un rigido iter sanzionatorio: blocco del turnover; divieto di effettuare spese non obbligatorie, ecc. In sintesi, dove c’erano gli sprechi ora c’è l’austerità. Male si stava e peggio si sta.
Conclusione: la catastrofe ordinaria del Mezzogiorno, con l’eventuale crescita del contagio, rischia di trasformarsi in apocalisse. Un’apocalisse che nessuna migrazione sanitaria potrà sventare.