L’ultimo malinconico regalo di Andrea Camilleri

L’Artista che conosce il successo nel corso della propria esistenza vive spesso il contrasto tra ciò che un Io esigente – e talvolta moralista – gli richiede e le aspettative di un pubblico o di un committente: Andrea Camilleri non faceva eccezione. Anzi, per quest’uomo nato nell’età della radio e divenuto straordinariamente noto grazie alla televisione, il conflitto si è moltiplicato, è cresciuto, si è avidamente nutrito delle avventure di un personaggio che, doppiato Il giro di boa della celebrità, è diventato autonomo; e forse – vuole dirci Camilleri – ha iniziato ad imporre furbescamente la propria volontà al suo creatore.

Nell’insicura estate che ci è toccata, possiamo ripercorrere questo conflitto e i suoi labili confini; Camilleri – ora è chiaro – ci aveva lasciato un testamento senz’altro originale, sorprendendo (fregando?) tutti quelli che si aspettavano di leggere, come opera postuma del Maestro consegnata alla casa editrice in tempi assai remoti, qualcosa a proposito della morte di Montalbano o, perché no, di una insospettabile trasformazione del commissario. Testamento originale ma anche malinconico, come l’ultima serata delle vacanze, quando la fine di un sogno è la sola realtà che ci sembra esistere: anche i romanzi di Montalbano sono finiti, proprio finiti finiti, nessuno è così sciocco da pensare che ne uscirà un altro dal cappello per segnare l’inizio della prossima estate.

Camilleri ci ha fatto un regalo unico: ci ha raccontato come l’Autore dei romanzi di successo si confrontava con se stesso, con la sua creatura di carta, ma anche con quella di celluloide e come tutto ciò avesse creato mondi che si intersecavano e si influenzavano a vicenda, dialogando, litigando, guardandosi con reciproco sospetto. E – cosa ancor più piacevole – ci ha mostrato tutto ciò senza rinunciare alla trama di un giallo intricato e avvincente. Un giallo in cui Mimì è insolitamente lontano, Fazio più che un aiuto è praticamente un salvagente durante una tempesta e Livia è sempre più presa da pretese – questa volta è innegabile – francamente assurde.

Proprio sulle vicende sentimentali del commissario era già andato in scena quello che sembrava il capitolo finale della saga, quando, due anni or sono, a Montalbano era ripreso a battere il cuore al ritmo dolce dell’amore, in maniera del tutto inaspettata e proprio nel corso di un’indagine in cui il mondo del teatro sembrava spesso sul punto di rompere la quarta parete e di precipitare nella realtà, a sua volta fittizia, del romanzo.

Che confusione che ha saputo regalarci! Il tutto nel quadro della perfetta meccanica razionale che è richiesta affinché un giallo funzioni! Insomma, se Montalbano aveva ormai rinunciato a quella – parliamoci chiaro – logora e, ormai, infedele relazione con Livia, cos’altro c’era da aspettarsi per il gran finale serbato nel cassetto da Camilleri?

Nient’altro che quello che abbiamo avuto (ma è facile dirlo a posteriori). La perfetta sintesi degli anni che il Maestro ha vissuto quando le sue storie, da amatissime e note che erano attraverso il passaparola, sono diventate di dominio nazionale, attraverso la televisione; quando il Commissario Montalbano, le cui fattezze erano ispirate a Pietro Germi, ha preso le sembianze di quello televisivo, perdendo baffi e capelli e, soprattutto, quella tendenza all’introspezione che, nelle sceneggiature televisive, avrebbe finito per tradursi in monologhi non esattamente adatti al mezzo.

Ce lo dice Camilleri: il suo Montalbano era altro, ma poi ha seguito una sua strada, ha iniziato a lavorare autonomamente. Crede, quello di carta, di essere più furbo di quello di celluloide; ma non riesce a fare a meno di imitarlo, di sentirne il peso schiacciante. Sbaglia, è insolitamente sciatto, dimentica e non ha colpi di scena che lo riportino in carreggiata: e poi sembra quasi fissarsi a seguire una pista tutta sua. Anche se…

Un Montalbano, tuttavia, che, ancora una volta e per sempre, non riesce a rinunciare a essere “contro”. Contro tutto quello che c’è di sbagliato, nella società di quindici anni fa (ad allora risale la redazione di Riccardino del quale, in seguito, è stata rivista esclusivamente la lingua) come in quella di oggi; dai politici che cambiano la casacca per restare in circolazione, a quelli che alloggerebbero meglio nelle patrie galere ma servono a far comunicare lo Stato e la criminalità; dall’ambiguità del potere ecclesiastico agli orrori indicibili delle periferie del nostro bel mondo occidentale; fino alla domanda di un personaggio apparentemente più che secondario «Non ha mai conosciuto una persona onesta?».

Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere Camilleri, questo Gigante che, come tutti i veri idealisti, talvolta, per pudore, ha preferito mascherarsi dietro il realismo e lasciare il suo personaggio a lottare solo contro i mulini a vento.