“M” – La metamorfosi di Chaplin
È uscito il 19 giugno “M”, terzo lavoro solista di Christopher Chaplin, un musicista/compositore che francamente non conoscevo. La scoperta è stata casuale, come casuali sono le domande che la mente si pone quando si trova di fronte a un’omonimia pesante come quella di un cognome tanto riconoscibile.
La domanda è sempre stata impertinente, soprattutto per la sua non completa verificabilità: “La vita privata di un comico è un destino?”
Le storie di vita dei grandi artisti della comicità ci suggeriscono quasi sempre che lo scotto da pagare per questa dote è una profonda tristezza di fondo. Una certa catarsi inconsolabile e inappagabile è il contraltare inevitabile, pare, per la grandezza. Non sfuggì a questo cliché il più grande artista cinematografico che la storia ricordi: Charlie Chaplin, appunto.
Scriveva, dirigeva e recitava in punta di piedi, piroettando sul suo pubblico con ironia, con una amorfa comicità fatta di tristezza. Si racconta che la vera fonte della sua dolcissima malinconia non fu l’alcolismo del padre, né la separazione dei suoi genitori o la povertà della sua famiglia. Secondo Stephen Weissman, psichiatra americano, autore del libro «Chaplin, a life», la persona che ispirò le storie del vagabondo Charlot fu la madre Hannah, soubrette senza fortuna della Londra di fine Ottocento, che per arrotondare faceva la prostituta: venne colpita da sifilide subendo elettroshock e docce fredde in un istituto per disturbi mentali, mentre i due figli vennero rinchiusi in orfanotrofio e poi affidati al padre.
Una delle cose che colpiscono dell’opera di Chaplin è il senso del viaggio e del ritorno. Nella sua autobiografia, scritta fra il 1959 e il 1963 e di recente ripubblicazione per le edizioni Mattioli 1885, Chaplin riserva grande spazio ai suoi viaggi in giro per il mondo, ai prestigiosi incontri (Einstein, Churchill, Gandhi, Krusciov) e soprattutto alle visite nella sua città natale, Londra. In fine, all’incontro con la sua quarta e ultima moglie, Oona O’neil, unico vero grande amore della sua vita.
Il racconto finisce nel 1964, anno in cui “My autobiography” viene pubblicato. Mancano gli ultimi tredici anni della vita di Chaplin, che muore in Svizzera il giorno di Natale del 1977.
La finisco qui. L’omonimia mi riporta al punto di partenza, mi riporta a Christopher Chaplin.
Alla mia curiosità può capitare d’imbattersi, ogni tanto, in musicisti dalla carriera bizzarra, stramba, fuori dagli schemi: sono pochi coloro che hanno saputo trasformare durante gli anni il loro discorso musicale, fino ad allontanarsi in maniera sorprendente dalle proprie “radici”, arrivando anche a disconoscere un destino.
L’8 luglio 1962 a Losanna, in Svizzera, Oona O’Neill, quarta moglie di Charlie Chaplin che di anni ne ha 73, mette al mondo l’undicesimo figlio dell’attore. Il bambino prenderà il nome di Christopher James Chaplin.
Ecco che il cerchio si chiude a conferma che quasi niente nella vita è per caso o, forse, tutto lo è.
Christopher, come il pare Charlie, è un predestinato all’arte e alle tenebre. L’album “M” parla di cambiamento ed è straordinariamente inflazionato come titolo; da “M – Il mostro di Düsseldorf” film del 1931 di Fritz Lang fino ad “M” di Antonio Scurati.
La lettera “M” dell’album si riferisce alla lettera ebraica Mem, che, nell’alfabeto della Cabala, indica l’origine di molte parole come: madre, utero, nascita, acqua, inondazione, morte; e attraverso la sua gematria (il numero 4), Mem è legata alla quarantena e alla trasformazione. Tutte gemmazioni che inevitabilmente sono legate al destino familiare.
“Sono stato davvero fortunato, durante la stesura di questo album, ad aver incontrato Finley Quaye che ha contribuito enormemente alla pista Metamorfosi. Sono entusiasta anche di presentare la meravigliosa voce di Mira Lu Kovacs nel brano A Sea Change, oltre ad avere avuto il permesso di Carl Michael von Hausswolff di utilizzare un campione della sua rielaborazione sonora della catena del DNA del virus HIV. Nella terza e ultima traccia, Mutability, sono affiancato da Aurelia Thierree che canta alcune strofe della poesia di Percy Shelley. L’ultimo verso di questo poema è stato il catalizzatore di tutto questo lavoro: “Nought may endure but Mutability”.
Nel 2009, Chaplin fu invitato da Michael Martinek e dalla sua etichetta Fabrique Records a lavorare con l’artista Kava in “Seven Echoes” – un concept album presentato per la prima volta dal vivo al Museo Art Brut Gugging di Lower (Austria). Lì incontra il pioniere della musica elettronica Hans-Joachim Roedelius, che in seguito lo invita a partecipare a una sessione live “Late Junction” per BBC Radio 3.
Nell’ottobre 2016 è stato pubblicato l’acclamato primo album solista di Christopher Chaplin “Je suis le Ténébreux”, un’interpretazione artistica dell’omonimo poema di Gérard de Nerval.
Nel 2018 esce “Paradise Lost” che traduce l’omonimo poema di John Milton sulla discesa degli angeli caduti nell’inferno in epici paesaggi sonori.
Con “M” si viaggia ancor più a ritroso nel tempo sino alle Metamorfosi di Ovidio, qui affidate all’interpretazione di Finley Quaye, che interagisce brillantemente con la complessa tessitura di archi campionati e il diafano coro femminile.
Nella successiva composizione intitolata Sea Change, il canto di Mira Lu Kovacs emerge dai marosi della Tempesta di Shakespeare come quella di una ninfa, intonando con estrema grazia i versi di Full Fathom Five in cui il drammaturgo inglese trasforma l’uomo annegato in creatura marina, mentre una moltitudine di suoni scaturisce dal fondale risalendo gli abissi al ritmo di una visionaria partitura per archi pizzicati e percussioni.
Un poema del 1816 di Percy Shelley detta l’ispirazione per la suite Multability, onirica interpretazione a due voci assieme a Aurelia Thierree che si sviluppa attraverso passaggi atonali, segmenti di suoni digitali, romanticismo visionario, minimalismo, nastri preregistrati e una moderna rappresentazione della musica da camera, per un finale imponente e maestoso.
Con “M” Chaplin porta il livello della ricerca musicale a notevoli livelli di virtuosismo e arguzia riuscendo a condensare l’elettronica sperimentale e l’avanguardia con la musica da camera in una costruzione multistrato che trasporta l’ascoltatore in stati mentali e spazio-temporali intermedi.