La libertà di fare schifo
“Non ci può essere libertà se non si permette a una persona di essere razzista”. Così, via Facebook, Matteo Gazzini. Militante leghista altoatesino che nel 2018 tentò, senza successo, di farsi eleggere alla Camera nella circoscrizione Estero. Insomma, la nuova classe dirigente del Carroccio in embrione. Smaniosa, pare, di battersi per l’onore dei concetti controversi. Come la libertà di fare schifo.
Insofferente alle banalizzazioni, la Lega che avanza sa bene che “il problema non è il razzismo, ma la discriminazione che il razzismo crea”. Il problema, quindi, non è, banalmente, il razzismo in sé, o il razzismo teorico (comunque deprecabile, sottolinea il Matteo minore), ma il razzismo pratico, il comportamento discriminatorio: se ne deduce che il pensare che ci sia una qualche sorta di correlazione tra teoria e prassi razzista è senz’altro un azzardo per le apertissime menti padaniche.
Nel suo piccolo, ci suggerisce Gazzini, ciascuno è libero di far maleodorare le proprie riflessioni in santa pace e di poterle verbalizzare. Purché il puzzo non si traduca in azioni a esso conformi. Cioè, seguendo la sua inespugnabile logica e applicandola ad altri temi, ciascuno può tranquillamente, nonché pubblicamente, affermare che una società fondata sullo stupro e sul pluriomicidio sarebbe una figata pazzesca, ma guai a dare seguito a tali affermazioni.
In sostanza, il militante leghista propone un nuovo paradigma di riferimento per l’intellettualità del suo tempo. Un paradigma in cui il poter pensare ciò che si vuole, lungi dall’essere soltanto una pagina eminente nella storia delle ovvietà (essendo, di fatto, il pensiero di chiunque impenetrabile alla legge), deve coniugarsi con il poter dire ciò che si vuole, da non confondersi con il poter fare ciò che si vuole. Il razzismo è ignoranza e l’ignoranza, se resta entro i confini della comunicazione, non è un crimine, sentenzia Gazzini. E Il fatto che determinate parole, una volta messe con insistenza in circolo, possano generare performance poco felici, come spesso capita, non riesce a scalfire di una virgola il suo sofisticato impianto concettuale. Pazienza se l’articolo 3 della Costituzione sancisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. La dignità di alcuni cittadini può essere sacrificata se c’è da tutelare la preziosissima libertà di fare schifo e di offendere l’umana intelligenza.
Curioso, poi, che questi voltairiani radicali trasecolino solo quando si tratta di individuare forme di liberticidio in grado di liberarci dal peggior uso possibile che si possa fare del concetto di libertà. Mai una volta che si battessero per difendere declinazioni più nobili, o costruttive, dell’essere liberi. Si pensi alla libertà di potersi sposare con una persona del medesimo sesso. Alla libertà, per una coppia omosessuale, di poter adottare un figlio. Alla libertà, in circostanze di gravi sofferenze fisiche, di poter morire quando lo si desidera. In tutti questi casi, i paladini della libertà di fare schifo, purtroppo, si dileguano. Se le libertà non danneggiano qualcuno, per costoro, non sono interessanti. Qualche maligno potrebbe addirittura insinuare che questa specie di voltairismo selettivo, anziché inserirsi genuinamente nel solco del pensiero liberale, risponda piuttosto a un imperativo biologico: nel momento in cui si appartiene a una piattaforma politica che sul razzismo (prima nei confronti dei meridionali, poi degli immigrati) ha costruito il proprio consenso, diventa questione di sopravvivenza il difendere la libera circolazione delle opinioni razziste.
Ad ogni modo, sulla base di queste, e di tante altre, intelligentissime battaglie politiche, si può facilmente immaginare lo spessore della futura società sovranista. I diritti, magari, indietreggeranno. Peccato. Ma ci si potrà pur sempre insultare senza remore. Un notevole progresso civile. Viva la libertà di fare schifo!