Immunità a là carte ovvero la Fase 2 affoga nelle carte

L’immunità in Italia non sarà mai di gregge, ma a là carte.

L’Italia è un paese a là carte. Qual è la carta giusta? È la domanda che assale ciascun italiano impegnato a svolgere un’attività, una funzione, un mestiere, un’opera. La corsa a prevedere come sarà e come andrà la Fase 2 è inutile. Sarà a là carte, e che dio ce la mandi buona.

Il menù offerto dal legislatore, non per caso, è ben esteso.

Entrée di autocertificazione. Per antipasto, durante la Fase 1, una bella autocertificazione, in versioni via via più sofisticate, per andare da mammina o a lavorare o al supermercato e in farmacia. Ci sono stati anche i piatti di mezzo e i secondi, perché occorreva la carta dello scontrino per dimostrare che la spesa nella busta esistesse davvero e la ri-autocertificazione per ri-tornare a casa.

Nella fase due lo Stato si è sbizzarrito, come era facile a prevedersi. Un documento interno della Pubblica Amministrazione sui controlli da effettuarsi negli esercizi commerciali elenca ben 10 tipologie diverse di documenti da acquisire per ogni ispezione. Non è necessaria la presenza fisica dei flaconi di disinfettanti o delle mascherine, quanto delle copie delle fatture di acquisto. Occorrono, poi, schede sottoscritte dai lavoratori che attestino la consegna dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale, nell’astruso acronimo burocratese). Decisive, infine, le copie della documentazione comprovante la formazione, l’addestramento e l’informazione sui rischi e sulla prevenzione.

A leggere la circolare non è chiaro se l’obiettivo degli estensori (sarà stato il Comitato Tecnico Scientifico o il grand summit dei direttori in manicotti?) sia la lotta al contagio o una spintarella all’industria cartaria. Chissà se qualcuno, magari sommessamente, abbia osato segnalare che da tempo è in vigore l’obbligo generalizzato (con rare eccezioni) di fatturazione elettronica, i cui file giungono prima ai server dell’Agenzia delle Entrate, e dunque allo stato, che non ai destinatari acquirenti. Insomma, lo stato già sa quante mascherine e detergenti ha acquistato ciascun commerciante, industriale, professionista.

Speriamo che la lettura di questa inusitata notizia non induca il Governo a valutare la necessità di un’autocertificazione dell’esistenza della fattura da vergarsi con dispositivi di scrittura non alterabile. La nazionalizzazione della produzione di matite copiative, a quel punto, andrebbe affidata a un’autorità presieduta da Arcuri.

La sanificazione degli ambienti, poi, va provata con timbri. L’uomo comune che scrive questo articolo si chiede se e come il virus sia sopravvissuto oltre due mesi in locali chiusi, senza mangiare e senza bere, senza nessuno da aggredire. La domanda deve essere mal posta, in quanto il decreto, qualche decreto, prevede che locali vadano sanificati (forse dai cadaveri dei virus). Per il che non è sufficiente, of course, una spruzzatina di DDT giacché andrà esibito idoneo attestato, debitamente timbrato.

Prima di uscire di casa o prima di aprire un negozio o opificio o prima di andare a prendere un caffè bisognerà comporre il proprio bel menù a là carte per il caso dei controlli. Piuttosto che le merci, negli scaffali dei negozi ci saranno, e in effetti già ci sono, faldoni, avvisi e certificazioni di ogni genere. Con tanto di timbro, si intende.

L’Italia è quel paese in cui non conta cosa si fa o si sa fare, ma ciò che la carta dice che si fa o si sa fare. Carta canta, insomma.
L’Italia, al contempo, è il paese in cui lo stato sa fare poco e nulla, e quel poco che fa lo fa male. Lo stato chiede carte che il cittadino deve incaricarsi di procurare in un ufficio per portarle a un altro ufficio o esibirle agli ufficiali, che con un clic potrebbero già sapere tutto. L’Italia è un paese passacarte.

Per accedere alle sovvenzioni e ai prestiti previsti dai vari decreti Cura, Salva e Rilancio Italia servono fascicoli di carte per attestare situazioni e qualità che lo stato già conosce perché ne ha contezza in file immagazzinati nei propri server: ma sono dati, immateriali, non contano. Ci vogliono le carte: della partita iva aperta trent’anni fa, la carta che attesti l’impresa che sei da quarant’anni, la carta di non essere fallito, la carta attestante la carta dei redditi presentata due anni fa. Parafrasando Tarantino, cartacarta, cartacarta, cartacarta, quante carte fa? Una montagna di carte. Anche per attestare di essere vivo serve la carta, e del resto anche per la morte.

Nemmeno sei riconosciuto disabile se zoppichi ma non hai la carta. Conosco disabili che hanno stracciato la carta dell’INPS con la percentuale d’invalidità per verificare se gli tornasse l’uso delle gambe. Non ha funzionato. Che strano.

Per l’app Immuni, c’è da scommetterci, sarà necessaria una qualche autocertificazione attestante l’installazione e il corretto funzionamento. Altrimenti non si è Immuni. L’immunità è a là carte.