Chi ha paura dell’Esorcista?
C’è stato un tempo in cui, magari per darmi delle arie, a chi mi chiedeva un’opinione su L’esorcista, lo storico film di William Friedkin magnificamente interpretato dal compianto Max von Sydow e dalla piccola Linda Blair, rispondevo di preferirgli il nostrano “L’Anticristo” di Alberto De Martino. Probabilmente, prima di riconoscerne la grandezza artistica, ero stato vittima di una leggera antipatia, dovuta al fatto che quella pellicola mi appariva come un’eccellente opera di propaganda reazionaria.
Oggi me ne pento, e per farmi perdonare dal buon Friedkin (prossimo a compiere 85 primavere!) realizzerò una dissezione di questo capolavoro del cinema horror.
La storia del film ebbe inizio nel 1949, con un articolo del Washington Post che raccontava di un ragazzo esorcizzato da un gesuita. Quel numero del noto quotidiano statunitense finì nelle mani del giovane William Blatty. Il quale, 20 anni dopo, avrebbe deciso di contattare l’autore dell’esorcismo e di romanzare l’intera vicenda, partorendo un libro in grado di spopolare nelle classifiche di vendita.
Considerato l’enorme successo editoriale, lo stesso Blatty pensò bene di ricavarne un lungometraggio e, dopo aver incassato il rifiuto di Stanley Kubrick (a cui fu proposta inizialmente la regia), la scelta ricadde su William Friedkin.
Lo scrittore stimava il regista per via dell’estremo realismo che aveva caratterizzato le sue opere precedenti e in virtù di alcune sciagure personali “condivise”: entrambi, infatti, avevano perso la madre (elemento che traspare nel film col dramma di padre Karras).
Le riprese cominciarono nel 1972 e durarono 9 mesi, durante i quali un susseguirsi quasi ininterrotto di strani incidenti fece duplicare il budget iniziale. Un cortocircuito causò un incendio che rase al suolo l’intera “casa MacNeil” e molte morti sembrarono tormentare il set. Il bravissimo Von Sydow perse un fratello, la piccola Linda Blair il nonno, Jack MacGowran morì esattamente una settimana dopo la sua morte filmica e uno degli attori divenne un serial killer. Inoltre il figlio di Jason Miller (lo scettico Padre Karras) fu investito da un motociclista misterioso e la moglie dell’assistente alla regia abortì. Tutto questo quando il film non era ancora uscito.
Il giorno della prima, il 26 Dicembre del 1973, accadde l’inverosimile. Dai picchetti di gruppi di fondamentalisti cristiani pronti a sbarrare l’ingresso del cinema, fino ad atti di vandalismo e risse nelle ore di attesa. E la leggenda ebbe inizio.
In Europa arrivarono una serie di voci (probabilmente urban legends) che parlavano di spettatori svenuti, crisi isteriche e addetti alle pulizie costretti agli straordinari per detergere gli strati di vomito nelle sale. Il film fu definito di volta in volta “disgustoso”, “blasfemo”, ma anche “reazionario”, “violento” e addirittura “commovente”.
Ma qual è il vero segreto di questo lavoro cinematografico? E perché suscitò una tale ondata di panico e sdegno? Il diavolo, a quanto pare, c’entra poco. I film sulle possessioni demoniache ormai neanche si contano e nessuno di essi può vantare un tale status.
Più che i liquidi organici in quantità, è presumibilmente la visione di un’infanzia disturbata a inquietare così tanto e a far riemergere traumi in apparenza dimenticati. William Friedkin, poi, va detto, fu un vero maestro dell’ansia. Basti pensare alla lentissima introduzione all’orrore (quello vero e proprio dura poco più di un quarto d’ora!), alla colonna sonora, ma soprattutto, agli effetti sonori. Suoni mescolati, un ronzio di uno sciame d’api, le grida di maiali al macello e, si narra, addirittura, l’abbaiare di cani ermafroditi. La voce del demone nella versione anglofona fu affidata a Mercedes McCambridge, ma anche in Italia ebbe un peso non indifferente, con la bravissima Laura Betti, tra le attrici preferite di Pasolini. E i famigerati messaggi subliminali? Ci sono anche quelli, ma non sono neanche troppo nascosti.
In conclusione, L’esorcista resta un film che, a distanza di anni, riesce ancora a far correre un brivido lungo la schiena. Forse perché l’orrore più grande, quello che non vorremmo mai affrontare, è quello che si nasconde dentro di noi.