Intelligenza Artificiale o Incompetenza Atomica: nel dubbio ci si agiti
Siamo in un’era in cui l’Intelligenza Artificiale sta riscuotendo un crescente successo per la risoluzione di problemi di varia natura in ambito scientifico e industriale. Tale disciplina, abbreviata con I.A., mira a creare sistemi hardware/software capaci di prendere decisioni in modo autonomo.
Il dittongo ascendente tuttavia si presta ugualmente bene a una più originale interpretazione per chi sovente finisce per confrontarsi con persone di una Incompetenza Atomica, specialmente nelle industrie con un pessimo management.
La coincidenza dell’acronimo, per altro, si presta bene al gioco di significato anche nella versione inglese: Artificial Intelligence/Atomic Incompetence.
Prima o poi potrebbe essere in voga, in contesti italiani o internazionali, compiacere “un talento da I.A.” senza che costui sappia se tale accezione sia un complimento oppure un dileggio. In inglese suonerebbe come “an A.I. kind of talent”, non male come slang. Nel caso rivendicheremo diritto d’autore.
Si sa, ci vuole una buona dose di ironia per capire il mondo dell’industria italiana e i suoi executives di spessore Fantozziano (in qualche caso, ahimè, può essere persino un ossimoro da complimento) presenti diffusamente in note multinazionali.
La critica più adeguata è relativa alla mancanza di una visione generale degli obiettivi da parte di chi ha in mano l’impresa.
Spesso e volentieri chi sta nelle “alte sfere” non ha gli strumenti o le capacità per distinguere una situazione complessa da una situazione complicata.
Questi aggettivi non sono sinonimi, anzi offrono percorsi completamente diversi nel risolvere dei problemi reali. L’errore più comune è quello di voler risolvere un problema complesso, ritenendolo complicato. Vediamone le ragioni.
Complicato deriva dal latino cum plica che significa con piega, quindi appare chiaro che per emergere da una situazione complicata basta spiegare, ovvero dispiegare un problema, come ad aprire un foglio ripiegato per leggerne chiaramente il contenuto.
Complesso invece ha una etimologia diversa, che ricorda la trama di un tessuto e un po’ rimanda all’azione di abbracciare. Ne consegue che per comprendere con sintesi un problema siffatto non bisogna mai sezionarlo.
Il tentativo di risolverlo pezzo per pezzo appare vano, se non dannoso.
Un problema complesso va affrontato con formazione, maturità e ricerca, senza tentare di ascrivere il malfunzionamento del sistema ad un componente difettoso, che pur talvolta può capitare.
Molto spesso per dare un seguito concreto alla “logica” di alcune decisioni aziendali (errate dal principio) si ricorre a un ricambio di personale concitato ed irresponsabile, tanto da far sembrare il posto di lavoro un frequentatissimo hotel con una porta girevole in perenne movimento.
Talvolta, però, sono gli stessi lavoratori che non condividono le scelte dell’industria e decidono di abbandonarla.
Con questo modo di agire (o di inerzia nel trattenere i più validi) non di rado il management mediocre trova l’uovo di Colombo: da una parte rinnova (inutilmente) il personale e dall’altra rende le sue azioni (miopi) più visibili all’azienda, dando tuttavia una parvenza di zelo al suo operato.
E’ superfluo qui declinare le qualità che distinguono un leader da un manager: internet è pieno zeppo di esempi anche con schemi esplicativi sulle differenze sostanziali tra le due figure, ma quello che sembra accadere frequentemente nel direttivo delle corporazioni è che situazioni complesse vengono poi risolte in maniera esecutiva e sbrigativa un po’ come succedeva con il “Facite ammuina”.
Questa espressione, attribuita al regolamento della marina borbonica (probabilmente nata invece per una goliardica iniziativa), era usata per incitare i marinai ad una apparente operosità in caso di visite di autorità o dignitari e recita così: all’ordine “Facite ammuina” tutti quelli che stanno a prora vadano a poppa, quelli che stanno a poppa vadano a prora, chi sta a dritta vada a sinistra, chi sta a sinistra vada a dritta, chi sta sottocoperta vada sopra e chi sta sopra vada sottocoperta passando tutti dallo stesso pertugio, chi non avesse nulla da fare, si agiti di qui e di là.
Ecco, questo sembra essere il massimo della strategia che si percepisce in alcune grandi aziende anche con nomi importanti, al solo scopo di far trasudare una solerzia fittizia, di sovente percepita purtroppo come una genuina laboriosità del management.
C’è tutto sommato un’inadeguatezza di fondo da parte di chi prende delle decisioni e spesso tali posizioni sono affidate sulla base di un rapporto di fiducia, non sondando tuttavia le reali competenze e abilità delle persone prescelte.
In Italia tale inclinazione ha trovato un humus fertile diventando una pessima abitudine: non di rado giovani PhD sono riposti sotto “l’ala protettrice” di tecnici incompetenti solo perchè “si è fatto sempre così” e sulla base di una gerarchia non meritocratica.
Quando Indy ne “Indiana Jones e l’ultima crociata” sfonda di nascosto il pavimento di una biblioteca a Venezia si aiuta con un attrezzo di fortuna e astutamente fa risuonare i suoi possenti colpi, ritmandoli con quelli di un timbro stampato su dei tomi da un anziano bibliotecario.
Grande è lo stupore di quest’ultimo nel sentire tanta potenza nel suo imprimere il sigillo sulla prima pagina dei libri da archiviare.
Sembra di cogliere la stessa meraviglia nel management che appunto con un talento da Incompetenza Atomica crede che tutto il lavoro sia il suo, quando invece le energie che fanno rimbombare la biblioteca provengono da persone più valide, che lavorano non cercando visibilità, ma solo un meritato riconoscimento, avendo davvero in mano gli strumenti del lavoro e non un mero sigillo.
Buona ripartenza Italia!