La Calabria non può ripartire in anticipo, mancherebbe di rispetto al Nord
Alcune anime belle, spesso colte e telegeniche, hanno rincorso sin dai prodromi di questa pandemia l’improvvisa accensione di uno spirito di solidarietà nazionale dormiente: più che dormiente, diremmo, in catalessi.
Per costoro, il morbo, da tragedia collettiva, si sarebbe dovuto trasformare, come d’incanto, in un potentissimo collante in grado di ridimensionare le storiche divisioni. Su tutte, quella tra Nord e Sud. Con il primo, da feroce luogo comune, dedito al negotium e il secondo, da ferocissimo luogo comune, dedito all’otium.
Ma è proprio vero che l’ottimismo, quando ci si mette d’impegno, quando svolge, suo malgrado, una funzione di occultamento di criticità pronte a esplodere, sa essere criminale. E a dirla tutta, una volta anatomizzato il folto commentario politico-mediatico di Covid-19, si fatica parecchio a trovare tracce di qualcosa che somigli, pur vagamente, a un principio di solidarietà tra territori distanti. Tutt’al più, è rilevabile, da copione, una tendenza di segno opposto. Con la vasta fenomenologia del Meridione-in-difetto ad arricchirsi di narratori addirittura insospettabili. Come prima, più di prima.
Ora, che il razzismo latri a viso aperto, vedi Feltri, o che strisci con furberia, vedi Giordano, o che sbuchi con cervellotici, nonché improbabili, spunti costruttivi, vedi Chirico, cambia poco. Anzi, il razzismo a viso aperto è persino, per paradosso, preferibile, perché si fa riconoscere, consentendo una pronta diagnosi e favorendo adeguate contromisure.
Al contrario, una sintomatologia strisciante, lieve, come Covid-19 insegna, favorisce la diffusione della malattia, nonché la confusione in ambito diagnostico, generando approcci più leggerini o sottovalutativi, ritardando una ferma presa di coscienza.
Ad esempio, per restare in tema, così si è espresso proprio ieri sera, ospite a Otto e Mezzo, il noto imprenditore piemontese Oscar Farinetti una volta interpellato sull’ordinanza della presidentessa della Calabria Jole Santelli (bocciata, peraltro, dal Tar di Catanzaro) che avrebbe permesso riaperture anticipate di bar e ristoranti: “Ho trovato un po’ antipatico che la Calabria decida autonomamente, che la Calabria decida prima, da sola, di fare l’apertura. Insomma, è una questione di rispetto verso il resto del paese rendersi anche conto che quella zona che oggi è molto malata ha contribuito moltissimo, nelle tasse, a far muovere questo paese”.
Obiettivamente, ci riesce difficile ricondurre le farinettitudini alla voce “razzismo a viso aperto”, perché non producono il rumore dei fuochi d’artificio in stile Feltri o il timido scoppiettio di altri farneticanti minori convinti che l’inferiorità dei meridionali obbedisca a precise istruzioni ontologiche. Ciononostante, se ci si sofferma un attimo di troppo, capita che la farinettiana antipatia nei confronti di una Calabria vogliosa di ripartire in anticipo, per giunta con i numeri del contagio a darle ragione, cominci a somigliare, magari in lontananza, a quelle pericolose robacce striscianti spiattellate qualche riga fa. Soprattutto, se servita sul vassoio della mancanza di rispetto verso quelle fette di territorio nazionale maggiormente colpite dal coronavirus che hanno “contribuito moltissimo, nelle tasse, a far muovere questo paese”.
Ebbene, proviamo a riassumere il Farinetti-pensiero: siccome i calabresi sarebbero deficitari sul fronte “gettito fiscale” a causa delle loro aziende decotte e della loro economia strutturalmente depressa, dovrebbero avere il buon gusto di rendere ancora più depressa la loro economia depressa per non mancare di rispetto alle zone ricche del paese in difficoltà.
Una “logica” sorprendente di per sé. Che, se scodellata da un imprenditore di successo, sorprende al cubo, essendo inammissibile sul piano imprenditoriale. Almeno in linea di principio, almeno finché le zone ricche del paese non considerino le zone povere del paese come una colonia. Solo in quel caso ci sarebbe poco da sorprendersi.