Attualità di un pensatore scomodo: tutti gli scritti di Ivan Illich in un volume di Neri Pozza
Meritoriamente l’editore Neri Pozza ha avviato quest’anno la pubblicazione delle opere complete di Ivan Illich. È la prima volta nel mondo che accade.
Non sappiamo come si dipanerà questa bella impresa editoriale. Il primo volume, intitolato Celebrare la consapevolezza, con argomentazioni fornite dal curatore, Fabio Milana, raccoglie i testi del ventennio che va dal 1951 al 1971. Uno di essi non era mai stato pubblicato prima (I fondamenti filosofici della storiografia in Arnold Joseph Toynbee). Nella VI parte si trovano testi mai raccolti prima in volume.
Ci troviamo di fronte al periodo che coincide con la formazione di Illich all’interno della tradizione cristiana. Sono anche gli anni del suo impegno pastorale come sacerdote, prima come viceparroco dell’Iglesia de la Encarnación a New York e poi come vicerettore dell’Università cattolica in Portorico, della partecipazione al concilio Vaticano II a Roma e della fondazione a Cuernavaca del Centro intercultural de documentación. Insomma, non è ancora l’Illich che diventerà un punto di riferimento della controcultura degli anni Settanta, oramai fuori dalla Chiesa cattolica, seppure in una rapporto di fedeltà ideale ad essa.
Merito del curatore illuminare gli snodi biografici, soffertissimi, che sono alla base di testi per lo più d’occasione: «Sono [gli scritti qui raccolti] fondamentalmente questo, strumenti di lavoro, che presuppongono l’agenda fitta dell’operativo assai più che l’ambiente raccolto dello studioso, e l’urgere di una contingenza più che i tempi distesi del progetto». Solo dopo Illich diventerà «autore di libro».
È possibile distinguere due fasi nell’opera di questo coltissimo “apolide” novecentesco? Secondo Agamben, autore della breve ma densa “Prefazione”, assolutamente no: «I testi editi e inediti qui pubblicati mostrano infatti che la concettualità dell’Illich critico della modernità e archeologo della convivialità nasce come uno sviluppo radicale e coerente di categorie teologiche e filosofiche già presenti nel pensiero del sacerdote».
Dunque, ci troviamo di fronte al dipanarsi, in modalità diverse, di un unico nucleo di pensiero-azione assolutamente originale nel panorama del XX secolo al punto da non essere ancora integrabile nella manualistica scolastica filosofica.
Illich si è occupato di molte questioni, lasciando sempre un segno e suscitando polemiche incendiarie, polarizzando sempre entusiasti sostenitori e acerrimi detrattori.
Il denominatore comune degli ambiti di cui si è occupato è il superamento di una linea varcata nella quale una “tecnologia” cessa di essere utile nel processo di antropogenesi, e diventa, al contrario, un ostacolo o un pericolo. Questo vale per la scuola, quando pretende di inglobare tutta la formazione di un individuo, per la sanità, che pretende il monopolio sulla salute delle persone «dalla culla alla tomba» (in realtà oggi anche prima della culla, nel ventre materno), per i trasporti, che assolutizzando un modo individualistico e centrato sulle macchine, distruggono l’ecosistema (anche affettivo) delle città, cancellando in nuce la possibilità di altre forme di mobilità.
In tutti i casi c’è una pretesa monopolistica da parte di “esperti” (professori, medici, ingegneri) che espropriano le persone della loro libertà di scelta cui viene contrapposta una “filosofia del limite”.
Le tesi di Illich furono al centro del dibattitto per tutti gli anni Settanta per poi cadere nel dimenticatoio. L’ultima polemica importante che accese risale ai primi anni Ottanta, quando con Genere. Per una critica storica dell’uguaglianza si procurò gli strali del femminismo.
La pubblicazione del primo volume delle opere complete, che però ha avuto ad ora scarsissima eco mediatica, mostra invece l’assoluta attualità di un pensiero che ha una segreta sistematicità non evidente di primo acchito. Si tratta della tesi secondo cui il mondo moderno nasca da una degenerazione di valori cristiani («corruptio optimi pessima»): «Il lavoro di Ivan Illich scava tutto intorno e scopre radici cristiane a buona parte delle istituzioni e delle ideologie istituzionali della modernità, dalla società dei servizi ai “missionari” medici, professionisti ed esperti degli altrui bisogni» ha scritto uno dei suoi amici e divulgatori, Franco La Cecla (in Ivan Illich e l’arte di vivere, Elèuthera, 2018).
Dunque, il suo intento è duplice: da una parte, attraverso un’originalissima analisi genealogica che indaga soprattutto la svolta medievale avvenuta nel XII secolo (quando la Chiesa «ha cercato di costruire un ordine cristiano sulla terra, rafforzando la fede col potere, nel tentativo di regolare la carità, garantire la speranza e assicurare la salvezza. E questo tentativo […] è stato il modello delle principali istituzioni della vita moderna»), vuol mostrare la nascita del moderno da radici cristiane, dall’altra dischiudere un possibile rinnovamento del cristianesimo, come se il mondo (interamente occidentalizzato) non potesse imboccare nuove vie senza una metamorfosi di ciò che l’ha prodotto.
Questo cristianesimo rinnovato, viatico ad una “società conviviale” (e “decrescente” rispetto ai bisogni materiali), illustrato ne I fiumi a nord del futuro (Quodlibet, 2009) e, soprattutto, in Pervertimento del cristianesimo (Quodlibet, 2008), ha al suo centro un tema già caro al giovane sacerdote, come magistralmente spiega Agamben: «Non sorprende, pertanto, che la categoria in ogni senso decisiva del pensiero del giovane Illich sia proprio quel concetto escatologico di regno, che è stato da sempre riconosciuto come il contenuto centrale della predicazione di Gesù e che tuttavia è andato progressivamente scomparendo dal vocabolario e dalla pratica pastorale della Chiesa». Il Regno, che è sempre “avvenire”, è già misteriosamente presente tra gli uomini. E va testimoniato attraverso una vita di “comunione” al cui centro ci siano amicizia e convivialità piuttosto che delega di “bisogni” a istituzioni asettiche e lontane.
L’auspicio è che la coraggiosa iniziativa di Neri Pozza rimetta Illich al centro della discussione, in un tempo propizio a cambiamenti radicali, un tempo in cui «Illich non appare più […] il geniale iconoclasta che ha sottoposto a una critica implacabile le principali istituzioni dell’Occidente. In questione, nella sua critica della modernità, è nulla di meno che un nuovo sguardo sull’umanità dell’uomo» (Agamben).
Il rischio in agguato è la sua strumentalizzazione da parte del pensiero “reazionario” o conservatore. Ma è un rischio che val la pena correre quando gli spazi di autonomia e libertà degli individui in tempi perennemente emergenziali sembrano assottigliarsi.
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Il disegno, come i precedenti che accompagnano i contributi di Nicola Sguera, è di Ferdinando Silvestri: laureato in fisica, ha capito da un pezzo che la sua strada è quella delle matite. Quando non disegna, divide la sua vita tra famiglia, karate e lettura.