Le parole e le cose

La filosofia antica, da Platone ad Aristotele, distingueva la doxa, intesa come l’opinione, la credenza alimentata dalla conoscenza sensibile, dall’epistème, la conoscenza che invece ha salde basi scientifiche. Nell’immaginario comune, la laurea in filosofia serve a nulla, o a poco. Quindi cerco di farla fruttare, almeno qui, festeggiando così il mio 1° maggio.

Che l’epistème sia la conoscenza che ‘ha salde basi scientifiche’ è un’affermazione falsa e tendenziosa, già solo perché la scienza, come la intendiamo oggi, o come la intende Conte (o il suo ghostwriter), all’epoca non esisteva. L’epistème era la verità dell’essere, nella sua evidenza (siamo nel Teeteto, si sta profilando l’eidos, l’idea), e la verità è ‘ciò che sta su’ (episteme significa questo), e che, nel suo essere verità, non ha bisogno di essere pronunciata da un’autorità, né tantomeno da un Comitato Tecnico Scientifico.

Sta su da sé, non perché l’abbia detta qualcuno. Anzi, quando l’autorità (o peggio l’autoritarismo) si infila, la verità decade a sofistica, a rettorica, a potere, la cui cattiva gestione è il campo minato da cui Platone ed Aristotele (e il demone socratico che li ispira) cercano di salvarci, da due millenni. Foucault ci ha spiegato, in un testo difficile e bellissimo, Le parole e le cose, che l’episteme è addirittura storica, e procede per fratture: è una struttura che creiamo, eppure non ci appartiene, ma a cui noi anzi apparteniamo.

In momenti della storia, per inneschi ancora da indagare a fondo e spesso legati a intuizioni erranti, l’episteme riorganizza la produzione delle nostre conoscenze e l’utilizzo del nostro linguaggio. Ma, nonostante ciò, ci dicono questi filosofi, quando la verità si fonda su buone argomentazioni, quando diventa discorsiva, quando diventa dianoia (e nella comunità degli uomini non può essere altrimenti, perché noi siamo esseri dialoganti e pensanti, dove non si riesce a capire se il linguaggio sia espressione del pensiero o il pensiero del linguaggio, e questo è un qualcosa che trovo insieme straordinario e miracoloso) il vero dovere che spetta agli uomini che hanno la responsabilità di condurre la comunità è la parresia, il parlare chiaro, il comunicare la verità nella sua interezza.

Nella parresia – insiste Foucault – il parlante fa uso della sua libertà e sceglie il parlar franco invece della persuasione, la verità invece della falsità o del silenzio, il rischio di morire invece della vita e della sicurezza, la critica invece dell’adulazione e il dovere morale invece del proprio tornaconto o dell’apatia morale’ [Discorso e verità]

Così, quando a Socrate chiedevano di render conto delle proprie certezze, lui rispondeva, nel modo disarmante di sempre: ‘Io non so nulla, ma ho episteme dell’amore, perché me l’ha insegnata una donna’.

Ecco, la parresia è questo.