Mario Bava, quarant’anni dalla morte del genio del brivido
“Sono sicuro di aver fatto solo grandi stronzate. Sono un artigiano. Un artigiano romantico, di quelli scomparsi. Ho fatto il cinema come si fanno le seggiole.”
Mario Bava
Il 1980, per la storia del cinema, fu un anno particolarmente funesto. Ebbe inizio il declino del “cinema di genere italiano”, tenuto parzialmente in vita dalla triade Fulci/Argento/Soavi (capaci di sfornare ancora diversi lavori interessanti) e, soprattutto, nel giro di pochi giorni, ci lasciarono per sempre Alfred Hitchcock e Mario Bava
Ed è proprio su Mario Bava che vogliamo soffermarci. Un regista capace di coniare il “gotico all’italiana”, di cimentarsi con il “giallo”, realizzando alcuni classici, e di anticipare lo “slasher movie”.
Tra gli anni sessanta e gli anni settanta diede vita alle sue creazioni più rappresentative. È del 1963, ad esempio, I tre volti della paura. Un film con tre episodi tutti molto validi, che vanta la partecipazione del grande Boris Karloff, protagonista anche di un simpatico momento metacinematografico.
Luci barocche, una fotografia che regala colori volutamente innaturali, sinistri, e una certa maestria negli effetti speciali, fanno di questa pellicola un cult assoluto. I riferimenti letterari sono altissimi: Maupassant, Tolstoj e Cechov.
Ill terzo episodio, La goccia d’acqua, è quello probabilmente più riuscito. Un intreccio di giochi di luce e trucchi horror che risultano credibili per l’intera durata della storia. Una tensione crescente fatta di ronzii di insetti, finestre che sbattono e case in penombra che restituiscono lo stato d’animo della protagonista. Il rumore snervante della goccia che cade nel lavandino, l’ambiguo finale e l’ambientazione gotica regalano un momento di cinema efficace, decisamente inquietante. La celebre heavy metal band inglese Black Sabbath prenderà il nome proprio dal titolo dato al film per la distribuzione nei paesi anglofoni.
È del 1974, invece, la pellicola riconosciuta dalla maggior parte dei cultori come la sua opera più ispirata: Cani arrabbiati. Questo thriller fu il film maledetto di Bava, quello che non riuscì ad approdare nelle sale, bloccato dal fallimento della casa di produzione. Solo nel 1995 è stato recuperato ed è uscito in DVD con il titolo Semaforo rosso.
Qui, con il figlio Lamberto aiuto regista, il maestro realizza un’opera quasi interamente girata in un’automobile e definita dal critico Alberto Pezzotta “un vero viaggio all’inferno, dove la situazione classica del road movie diventa viaggio all’interno degli orrori dell’anima umana”. Nel cast troviamo Riccardo Cucciolla (l’indimenticato Nicola Sacco nel celebre film di Giuliano Montaldo), un delirante e bravissimo Don Backy, l’ottimo George Eastman (che avrà la sua consacrazione anni dopo diretto da Pupi Avati nel meraviglioso Regalo di Natale) e il francese Maurice Poli (opportunamente doppiato da Renato Cecchetto, la voce di Shrek).
L’atmosfera claustrofobica ne fa una pellicola disturbante. Ma, allo stesso tempo, l’impeccabilità della sceneggiatura e dei dialoghi incolla lo spettatore allo schermo fino alla fine. Un ultimo grande capolavoro con cui, colui che aveva anticipato Venerdì 13 (con Reazione a Catena) e Alien (con Terrore nello spazio), si permette il lusso di inventare il genere “pulp” .
Il 27 aprile del 1980, due giorni prima di Alfred Hitchcock, il grande cineasta morì a seguito di un infarto. Il suo talento inarrivabile, a quarant’anni dalla scomparsa, continua a ricevere riconoscimenti. Da Martin Scorsese a Tarantino, passando per David Lynch e Sofia Coppola.
A noi non resta che recuperare i suoi film e godere dell’uso espressionistico del colore, delle scenografie povere ma affascinanti e di quei capolavori che, a detta di Roger Corman, “dimostrò di saper creare, qualsiasi fosse la condizione”