Il nomenclator: dal liberto ad Anne Hathaway, passando per Lavoisier
Quando a Pompei si davano sontuosi ricevimenti il padrone di casa affidava al suo liberto il delicato compito di collocare al desco ogni invitato a seconda del suo censo.
Il nomenclator operava una laboriosa cernita e tenendo ben presente ranghi, titoli, parentele come pure l’età, doveva trovare il giusto equilibrio senza appalesare la segregazione tra e nei tavoli. Come è narrato ne “Gli ultimi giorni di Pompei” , egli doveva riuscire a creare un clima conviviale tra i parenti, gli amici e i conoscenti del suo padrone Diomede.
Il liberto nomenclator dunque poteva risultare un abile coordinatore di una festa memorabile, ma anche la causa di malumori e screzi tali da far fallire un ricevimento tanto atteso. Delegare questo compito allo schiavo poteva costare molto caro a Diomede in termini di prestigio, influenza e più pragmaticamente di futuri favori da commensali illustri.
Nell’antica Roma il nomenclator aveva più in generale anche il compito di suggerire al padrone di casa il nome dei dignitari che affollavano il convito: ciascuno doveva essere accolto e incensato citando correttamente il nome, la carica e brevemente le gesta.
Sembra quasi di vederlo, di fianco, nel suggerire sottovoce preziose informazioni quasi fossero comunicazioni divine. Sarebbe stato imbarazzante se il nomenclator avesse dato il nome errato o se avesse indicato tal donna come “moglie di” quando invece era la nuova concubina.
In maniera analoga nasce l’esigenza della nomenclatura chimica cioè la metodologia per dare un nome univoco ai composti. Nel 1787 Lavoisier interviene per riformare il modo di chiamare i vari elementi e composti privilegiando l’etimologia greca. Dobbiamo a lui le diverse desinenze degli acidi a seconda del tenore di ossigeno, acidi che lui nominò per esempio solforoso e solforico. ll vetriolo di Venere lo chiamò più scientificamente solfato di rame come scrive nel “Mèthode de nomenclature chimique”. Il suo lavoro di nomenclator è vivo e vegeto e ancora oggi risulta più diffuso delle recenti regole IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry).
Lo scopo comunque è lo stesso, sia che si tratti di nomenclatura tradizionale che IUPAC: identificare univocamente una sostanza tra le milioni possibili ed armonizzare le regole di assegnazione.
Sembra un lavoro pedante e noioso ma è in grado di evitare disastri. Si cerca in effetti di trasformare un assembramento di composti in una sinfonia grazie allo sforzo di una talentuosa orchestra di studiosi che disciplinano (è il caso di dire) la materia. Il frutto delle attività dei chimici nomenclator sono le pubblicazioni IUPAC, meglio note come color books.
Emblematica è la concatenazione di eventi che, a partire da una nomenclatura non conforme di una sostanza prodotta in Cina, provocò la morte di molte persone a Panama. Uno sciroppo per la tosse, preparato e distribuito dal programma sanitario panamense, finì per contenere del glicole dietilenico invece della innocua glicerina.
Il glicole dietilenico è un composto che ha la consistenza della glicerina ma è molto meno costoso e purtroppo tossico e mortale. Il tutto ebbe inizio presumibilmente, come ben riportato in questo articolo del New York Times, da una denominazione impropria del glicole etilenico quale “Glicerina TD” dove Ti-Dai in cinese significa sostituto. Complice la sete di profitto e la mancanza di controlli, il prodotto “Glicerina TD” si trasformò sulla carta in glicerina dopo vari passaggi di commercializzazione nei tre continenti e con tanto di certificati di analisi falsi, diventando “idonea” alla successiva preparazione dello sciroppo.
Una “leggerezza”, quale una denominazione ambigua, può essere preda di condotte fraudolente e volare indisturbata dall’Asia all’Europa per provocare danni enormi ai cittadini di Panama, come frutto avvelenato del nostro mercato globale frenetico e insostenibile.
Antoine-Laurent de Lavoisier sarebbe rimasto certamente di stucco a questa notizia, lui che ispirandosi al greco nominò l’ossigeno con tal nome perché generava acido e battezzò l’idrogeno in tal modo perché generava acqua reagendo con l’ossigeno.
Il suo lavoro di nomenclator è certamente un’eredità scientifica importante e ci aiuta ad enucleare gli elementi fondamentali di una struttura molecolare senza ambiguità. Ad ogni funzione chimica un suo nome e ad ogni nome un suo significato antico.
Questa millenaria necessità di classificazione e l’antico mestiere di nomenclator lo troviamo in un contesto brillante nella divertentissima commedia “Il diavolo veste Prada”. Indimenticabile è la scena dell’ambasciatore dove Meryl Streep durante uno sfarzoso ricevimento non ricorda il nome del dignitario che le si sta avvicinando e chiede stizzita aiuto a una Emily Blunt che, raffreddatissima e impacciata, ha tutte le informazioni sulla punta della lingua ma non riesce nel compito.
Interviene con grazia il nomenclator Anne Hathaway: sussurra correttamente nome e carica del dignitario e in più bisbiglia a Meryl Streep che l’ambasciatore Franklyn ha al suo braccio Rebecca, la donna per cui ha lasciato la moglie!
Vi lascio spero con un sorriso sulle labbra e con un’ultima considerazione: che sia un convito o che si tratti di Chimica, ogni nostra azione ovvero classificazione ha un suo peso.
Ci basterebbe ammirare lo sforzo del nomenclator ne “Gli ultimi giorni di Pompei” come spunto per trovare il giusto equilibrio.
È quanto mai necessario oggi narrare correttamente di noi “componenti” all’interno del contesto globale: trovare ed assegnare non solo un nome per ciascuno, ma donare anche ad ogni “componente” il posto più appropriato con l’armonia dell’inclusione.