Perché la Serie A non è la Premier League
Disabili discriminati in serie A. Lega e FIGC fanno orecchie da mercante
In Serie A i regolamenti di accesso allo stadio di sei squadre discriminano i disabili deambulanti con le stampelle, vietandogli l’ingresso.
Articoli e dossier non hanno contribuito a modificare la situazione.
La Lega e la FGCI, disattendendo l’indirizzo della Uefa, se ne infischiano.
Cosa accade a Londra in Premier League
Abbiamo verificato cosa succede, invece, in Premier League, al London stadium, casa del West Ham.
Ci siamo presentati con la nostra andatura barcollante ai controlli. Nessuna richiesta particolare al primo cancello. Per intenderci quello in cui in Italia chiedono biglietto, documento e controllo dello zaino.
A Londra sommaria perquisizione (come in aeroporto), con una domanda preventiva:
«hai dolore in qualche punto, se ti tocco?».
Nessun controllo del documento di riconoscimento. Se sei disarmato, d’altronde, che importa sapere chi sei?
E le stampelle? Nulla. Se ne sono infischiati così come la Lega e la FGCI, bastarde e ignave, se infischiano delle discriminazioni.
Sul taccuino una annotazione: ciascun cancello ha una corsia preferenziale, saltacoda, per i disabili.
Ciascun cancello.
Ogni singolo cancello.
Idem allo step successivo, ai tornelli. Ogni ingresso ha una porta separata, senza tornello, riservata ai disabili e presidiata da uno steward. Nel nostro caso una donna. «Mi dia il biglietto, lo passo io per la lettura del codice a barre» e poi, una volta controllato il biglietto, aggiunge:
«ha bisogno di qualsiasi tipo di aiuto?».
Storditi dall’accoglienza, a stento riusciamo a rispondere «grazie molte, no, non serve nulla». Basta la vostra gentilezza, aggiungiamo in silenzio, col pensiero.
Nell’area immediatamente antecedente gli spalti, ben evidenti, le indicazioni per i bagni accessibili.
La Premier league si gioca sullo stesso pianeta della Serie A? La discriminazione inclusiva.
Provenendo dalle esperienze di respingimento degli stadi italiani (Napoli e Milano), suppure lucidi e con i piedi ben saldati al terreno, coglie uno smarrimento e un fugace, ma potente pensiero: siamo sul pianeta terra o in un’altra galassia?
In realtà si tratta proprio di un’altra galassia. Se ne acquisiscono le prove definitive a uno dei tanti bar aperti nello stadio.
Qui, come in Italia, l’acqua e le altre bibite in bottiglia vengono vendute senza tappo, per evitare che siano lanciate in campo. Ai disabili, invece, e a noi tra questi, le bottiglie vengono vendute col tappo.
Una vera discriminazione. Al contrario, però, inclusiva.
La camminata scomposta e in disequilibrio, il barcollamento potrebbero far disperdere la bevanda.
Ma la super controdiscriminazione arriva all’ingresso del settore del proprio posto.
Lo steward che ne presidia l’accesso ci ferma. Pare indicare la bottiglia. E mentre pensiamo di non poterla introdurre in tribuna o di doverla stappare, se non buttare, lui si avvicina e dice
«vuoi che porti per te la bottiglia della bibita al tuo posto?»
Stordimento. Se non è un’altra galassia, è una favola o un sogno.
È solo l’Inghilterra, invece. È solo la Premier league.
Cosa raccontano questi episodi?
Sia detto subito, non esiste un regolamento che disciplini tutto ciò.
Del resto l’Inghilterra è la nazione della costituzione non scritta. È il paese della common law.
La questione è culturale e strategica.
Ciascun passaggio dell’esperienza racconta la stessa cosa: la volontà di accogliere il disabile e aiutarlo a godere dello spettacolo. Insieme a tutti gli altri spettatori, in platea.
Il disabile non è ostracizzato, non è sospettato di essere un infame fedifrago, un delinquente, un lanciatore di stampelle.
Spettacolo e platea, termini non usati per caso.
È percepibile in Inghilterra l’assimilazione della partita di calcio a uno spettacolo teatrale, cinematografico o di qualsiasi altra forma di intrattenimento.
Così, il contesto in cui si svolge lo show è organizzato per offrire a tutti un’esperienza spettacolare non per accogliere ultras e tifosi scalmanati, delinquenti, rabbiosi, esasperati.
Il calcio oltremanica non è il pretesto per lotte da anfiteatro romano.
E questo è il motivo per cui la Serie A non è là Premier league. E forse mai lo sarà.