Paolo il “pazzo” e la sua Trattoria Romagnola
Si chiama Paolo. La scoperta dopo trent’anni, carpita dalla voce di una cliente, evidentemente abituale, che lo ha chiamato ripetutamente, anche scherzando.
Gestisce la Trattoria Romagnola, una locanda che pare uscita da un racconto di Soldati. La via Emilia è giusto a due svolte, in questo lembo di pianura padana che è Castel San Pietro Terme, dove i caseifici di squacquerone si alternano alle cascine e ai grandi impianti di logistica delle multinazionali.
Il mare più prossimo dista almeno cento chilometri. Ma una sala è tappezzata di teche con nodi, velieri, incorniciate foto di leudi in mare. L’autodromo di Imola è a un tiro di schioppo, ma Paolo ama la vela. Se avesse interessi scontati non sarebbe “il pazzo”.
Lo soprannominò così, segretamente, un suo vecchio cliente, Biagio. Me lo confessò durante una di quelle chiacchierate inusitatamente confidenziali in cui incappano gli sconosciuti, solitari mangiatori notturni, al culmine di giornate di lavoro e dell’ultimo whisky.
Paolo è minuto, frenetico, premuroso, preciso, educatissimo. Si agita tra le tre sale ospitali in cui si articola la trattoria. Raccoglie ordini, annuisce, scuote la testa, non accetta variazioni, distrazioni, divagazioni. Se lo fa, se concede la parola per un che diverso dalla comanda, è un attimo e il volto assume espressione contrita come a scusarsi, rammaricarsi per il cedimento della discrezione rigorosa del suo stile.
La sua locanda è un gioiello di ordine e pulizia, a dispetto della vetustà dello stabile, dei pavimenti di graniglia ingiallita.
E ingiallito, non dalla luce, ma dal condimento è il bordo del piatto delle succulente tagliatelle al ragù bolognese, con prosciutto o senza. Immutabilmente strepitose, come Paolo.
In menù c’è, come non potrebbe non essere in una delle locande più schiette ancora esistenti nel Paese, l’intero scibile della pasta all’uovo romagnola. In più i “cuori” che Paolo non manca di proporre, con garbo ma immancabilmente.
Canonico per Castel San Pietro, magari spaventevole per i palati al neutro Roberts degli habitué dei ristofuffa modaioli, il castrato di pecora, sia in ragù che ai ferri.
La proposta è senza tempo. E se non c’è da cavare dolci dalle usanze della zona. La crema catalana è buona tanto quanto è lontano il mondo cui appartiene.
Seppure la gran maggioranza dei commensali versa vino anonimo da bricchetti vitrei, Paolo ha sempre tenuto in vetrina refrigerata una pregevole lista di etichette. Dopo la pandemia un po’ più scarna.
V’è una menzione imprescindibile che occorre per chiudere questa recensione: le formaggiere. Messe al bando dalle normative europee e dalla malsana mira di sterilità. Sopravvissute, talora, ma sempre un po’ unticce, da Paolo, pulitissime, manco a dirlo, quelle del Parmigiano Reggiano, con la presa del coperchio a forma di spicchio di formaggio che pare uscito dal cartone di Tom e Jerry.
Trattoria romagnola
Castel San Pietro Terme (BO) – via Acquaderni
051 941284
conto sui 30 euro