La fantomatica guerra al Prosecco
Non è con l’ingenuità che si primeggia nel proprio segmento di mercato. Un principio ben noto agli innumerevoli produttori del lanciatissimo Prosecco. Preoccupati, in questi giorni, dal probabile inserimento nell’elenco delle produzioni protette dall’Unione Europea del quasi omonimo Prosek, di provenienza croata.
La Coldiretti Treviso, sobriamente, si è espressa in termini di “attentato contro il vino italiano”. Zaia ha colto la palla al balzo, come altri professionisti del malcontento, per sciorinare le solite critiche all’UE. Contestando l’incapacità di tutelare le specificità territoriali degli stati membri. Come se la borghesia imprenditoriale del Nord, anche nel settore agroalimentare, non avesse nulla da spartire con i continui finanziamenti erogati da Bruxelles.
Il rischio temuto dagli agitati e dagli agitatori è la corruzione dei consumi. È la possibile frenata del successo commerciale del Prosecco dovuta all’ennesima declinazione dell’italian sounding, ossia di quella strategia promozionale di largo utilizzo che sfrutta la sprovvedutezza di alcuni consumatori veicolando, attraverso parole e immagini, un’italianità fasulla, un made in, tra virgolette, Italy. Strategia grazie alla quale prodotti imitativi come il Parmesan et similia finiscono col guadagnarsi (e sottrarre) fette di mercato che non gli spetterebbero.
Ovviamente, finché si tratta di consumatori italiani il rischio di confusione è pressoché nullo (deve ancora nascere una fanbase tricolore del Parmesan), ma quando bisogna fare i conti, ad esempio, con i consumatori californiani – e sappiamo quanto il Prosecco funzioni bene sull’export – le probabilità di sorseggiare del Prosek croato pensando di sorseggiare il suo quasi-omonimo potrebbero, in teoria, aumentare.
Eppure, prima di scatenare il panico tra le 10.000 aziende che si occupano della produzione del primatista italiano delle bollicine – che già hanno i loro problemi come è emerso da diversi dossier (impatto paesaggistico, erosione del suolo da monocoltura, inquinamento, ecc.) – o di proporre l’occupazione militare della Dalmazia, giornalisti e politici tonitruanti dovrebbero forse considerare almeno tre fattori di tutela in grado di scongiurare la catastrofe.
In primis, sebbene la sola omonimia non sia ritenuta condizione sufficiente per respingere le richieste di riconoscimento avanzate dai croati, la Commissione Europea non ha ancora dato la sua approvazione e non è detto che la conceda, considerando qualche precedente analogo sfavorevole.
In secondo luogo, malgrado l’estrema somiglianza fonetica tra Prosek e Prosecco possa contribuire ad accrescere l’oscurità del mondo dei consumatori, non bisogna sottovalutare la buona preparazione del consumatore medio, essendo il consumo una delle attività umane su cui maggiormente si investe in termini di risorse psicologiche ed essendo l’italian sounding un fenomeno oramai talmente inflazionato da aver ridotto di molto il proprio potenziale fraudolento originario (laddove non risulti addirittura controproducente).
In fine, aspetto non esattamente marginale, sul piano vinicolo sussiste una notevole differenza tra i due prodotti in questione. Infatti, il Prosek, lungi dal costituire un mero tentativo di contraffazione del Prosecco, ha una sua lunga storia autonoma e presenta caratteristiche completamente diverse, essendo un vino dolce da dessert molto simile al passito prodotto con altre uve e altre procedure .
Per intenderci, esemplificando, qualora una bibita di nome Fant (distribuita e prodotta su piccola scala) facesse il suo ingresso all’interno del mercato delle bibite gasate presentandosi come una versione alternativa di un’acqua tonica anziché di un’aranciata, dubitiamo che la Coca-Cola Company si sentirebbe in qualche modo sotto minaccia.
In sostanza, finché il Prosek non si chiamerà Passit e non andrà a delineare una forma di legittimazione istituzionale dell’italian sounding, è lecito pensare che non ci saranno grossi problemi per i nostri viticoltori. Il che fa riflettere sulla probabile pretestuosità di certe battaglie politiche condotte trasversalmente sotto il vessillo del protezionismo.