La geopolitica (burlona) dell’Eurovision
I Måneskin hanno vinto, l’Italia ha vinto. In un anno così complicato per l’Europa, l’Eurovision Song Contest, da manifestazione musicale finita nell’oblio per anni, è tornata potente come non mai, galvanizzando sentimenti che fino a oggi abbiamo riservato solo ai Campionati del Mondo di Calcio e, forse, un tempo, a Giochi senza Frontiere. Ma tra il serio e il faceto, tra sberleffi e abbracci eurofriendly, risate e gesti apotropaici, non si può non dare a questo eurobarometro musicale un significato velatamente politico e sociale.
Partiamo da come funziona il sistema di voto, radicalmente revisionato a partire dal 2016. Ogni Paese partecipante ha una giuria professionale il cui compito è classificare le sue prime 10 esibizioni, assegnando punti di 12, 10, 8 ecc. ecc. punti ai suoi favoriti, in ordine decrescente. Questi punteggi saranno rivelati durante la finale dai portavoce di ogni nazione: successivamente, si apre un secondo turno di voti da parte del pubblico che guarda da casa. Le due serie di punteggi verranno quindi sommate per fornire una serie finale di risultati. Ergo, per ogni partecipante si somma un voto “politico” rappresentato dai tecnici che spesso confermano antichi sodalizi ed evidenziano ataviche idiosincrasie. Il televoto, invece, risente di altre variabili: poiché gli abitanti di un Paese non possono televotare per la propria nazione, questo voto risente di quanti connazionali risiedono negli altri Paesi, la capacità di mobilitazione al televoto verso l’estero (si pensi all’esempio Ferragnez) ma soprattutto quanto successo e quante simpatie raccoglie un artista e un Paese nel resto d’Europa e del Mondo. E in questo lo Stivale ha sempre avuto qualche marcia in più: non a caso i quattro monelli romani si sono portati a casa un tesoretto da televoto abnorme. Qualcosa vorrà pur dire.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’allargamento costante a nuovi Paesi ha e ha avuto da sempre un valore politico: si pensi ai casi della Jugoslavia, dei Paesi del Maghreb o dell’Europa dell’Est dopo il crollo del muro di Berlino. Stessa cosa dicasi per le partecipazioni extraeuropee come quelle di Israele e Australia o quella del “vicino” Azerbaijan. Porte aperte che rivelano fil rouge -nemmeno tanto sottili- politici ed economici, oltre che culturali.
Cosa ha raccontato, dunque, questo Eurovision dell’era Covid? Di certo, ha avuto un effetto simbolico e catartico dirompente, così in contrasto con l’edizione dello scorso anno ove i singoli partecipanti erano in diretta, solitari e senza pubblico, dalle rispettive nazioni a causa delle misure pandemiche. È stato potente vedere persone che si abbracciano, spalti pieni e niente mascherine (i Paesi Bassi, tra l’altro, useranno l’evento come stress test per le riaperture post -Covid). Ma al netto di queste sfumature alla volemose bene, gli stracci (musicali) sono volati comunque e tanti voti incomprensibili ci hanno fatto sgranare gli occhi. Ad esempio: perché San Marino non ha votato per noi? Cattivi.
Concentriamoci, allora, sui douze points e su chi e come li ha affidati ai colleghi delle altre nazioni. Se Israele affida i suoi 12 punti alla Svizzera (meglio stare sui neutrali delle volte), la Polonia tradendo l’amore post Woytila che ha sempre avuto per noi, sceglie San Marino. La repubblichina piccina picciò nel cuore dell’Italia, invece, tradisce la continuità territoriale scegliendo i cugini d’Oltralpe. Occhi sgranati. Ma ad abbandonarci c’è anche l’Albania, che premia con la sua coccarda da 12 stelline la Svizzera (a noi solo 4 bricioline) e riceve il medesimo premio dalla piccola ma potente Malta. Non c’è più il Mediterraneo di una volta. L’Estonia premia anch’essa la Svizzera, la Macedonia la Serbia (ma affida 10 punti all’Italia: grazie, vi baciamo dall’altra sponda dell’Adriatico!). L’Azerbaijan resta caucasico e fedele alla linea, affidando il suo podio alla Grande Madre Russia dimenticandosi dell’Italia (forse hanno dato troppo col gas). Ecco poi spuntare lo strano asse scandinavo-mediterraneo con la Norvegia che vota Malta: ecco il mito del raid a Capo Nord che trema.
Ma udite udite, è nell’Europa del sud che avvengono divorzi importanti: i fratelli spagnoli ci abbandonano senza darci nemmeno le briciole scegliendo la Francia: i Pirenei vincono. Altro paese a ricusarci è l’Austria, che sceglie l’Islanda (?) e ci accontenta con sei bricioline: poteva andare peggio. Poi il Regno Unito, sorellastra confinata al di là del Channel, cerca di risvegliare l’asse coloniale dando 12 punti alla Francia. Gioiranno i pescatori nella Manica: per noi, loro non pervenuti. Noi italiani, invece, abbiamo premiato la Lituania, magnetica con le sue scenografie alla Kraftwerk: indagheremo anche su questo filo rosso. Ci premia la Slovenia, rinfocolando una pace storica sul confino orientale. Simpatico il teatrino greco-cipriota: io voto te tu voti me, in ricordo del nostro ammor. I Lettoni invece premiano la Svizzera e l’Irlanda la Francia: weird, very weird. La Moldavia premia la Bulgaria e la Bulgaria la Moldavia, mentre la Serbia sceglie la Francia scoccando frecce nel mezzo del Mare nostrum. Se il Belgio sceglie la Svizzera rispolverando fasti di neutralità, la Germania sceglie la Francia: l’asse Merkel-Macron tiene ancora botta.
Però l’Australia che vota Malta? Simpatie insulari o è il Commonwealth che non muore mai? Se poi i finlandesi scelgono la Svizzera, il Portogallo premia la Bulgaria dedicandoci solo 3 punti: orde di pensionati italici sono già al gate di imbarco per Roma. Se gli islandesi scelgono anch’essi la Svizzera, gli amici ucraini scelgono l’Italia: e noi, da qui, gli auguriamo un futuro di pace e sereno, che va al di là delle boutade musical-calcistiche. Se la Romania ci abbandona per Malta, la Croazia ci offre i suoi 12 dobloni: iniziate a prenotare il traghetto! Stessa cosa dicasi per la Georgia che ci abbraccia da Est: la repubblica Ceca sceglie il Portogallo, invece. Che la Lituania scelga l’Ucraina non ci sorprende, ma la Danimarca che sceglie la Svizzera, lasciandoci a bocca vuota è molto triste: non tutti sanno che Måneskin è una parola danese (traducibile in italiano come “chiaro di luna”) e che Victoria De Angelis, per metà, è proprio danese. Mmm, v’è del marcio in Danimarca. La Russia sceglie la Moldavia ma i suoi dieci punti li riserva comunque a noi: i nostri cugini francesi, invece, avendo forse già prenotato le ferie a Corfù, si lanciano sulla Grecia, ignorandoci. Po popopo popo poooooo…. Più gentili gli svedesi, che premiano Malta ma anche noi con 10 punti: gli Abba ci adoravano, del resto. Gli Svizzeri giocano ai quattro cantoni e scelgono la baguette: ce ne faremo una ragione, ma li ringraziamo comunque per gli otto punti. I Paesi Bassi scelgono la Francia: ci può stare.
Last but not least, alla fine di questa biscardata musicale, un dato -davvero serio- si staglia su tutti: quello zero accanto al Regno Unito, appena appena edulcorato dai sorrisoni da ottimo Dj set di James Newman, che nemmeno un po’ di televoto premia a sufficienza.
Sorry James, but a decision is a decision: Brexit is Brexit.