Superlega e superfessi
Una superlega fonde capacità formidabili per ottenere attitudini prodigiose. I fessi pertanto non formeranno mai una superlelega.
Si potranno contorcere, storcere, agitare, scomporre, ricomporre, ma la fessaggine di base non perderà mai la propria debolezza. Pregiudicherà il risultato: il superfesso al posto della Superlega.
Ordunque, questo Agnelli si è prodigato di dimostrare l’assioma. Non v’era necessità. Lo hanno seguito, in Italia, Marotta e Antonello (Inter), Gadzidis e Scaroni(Milan), finendo per apparire (e essere) gli accoliti dei fessi. Che ignominia.
Che obbrobrio anche il dibattito ipocrita-sentimental-moralista alimentato ad arte dalla UEFA e dai governi intorno all’idea nient’affatto fessa, promossa dai fessi.
UEFA, FIFA, leghe e federazioni nazionali sono istituzioni colluse coi poteri politico ed economico, governate da burocrazie corrotte (vedi caso mondiali Quatar e affaire Neymar). Si alimentano degli investimenti delle società proprietarie del clubs e della passione viscerale, dunque irrazionale e resistente a qualsiasi ragione, dei tifosi.
Cui rinviano per dissimulare le malefatte, ammantando le proprie azioni della difesa di un imprecisato quanto inesistente calcio romantico contrapposto al calcio affarista.
Un circolo vizioso che davvero strozza il calcio. I Presidenti investono, le istituzioni calcistiche vendono diritti e pubblicità, organizzano propagande politically correct, redistribuiscono gli introiti, previa trattenuta alla fonte per foraggiare le proprie lussuose e opache esistenze.
FIFA, UEFA, leghe e federazioni, sempre loro, sono quelle che hanno spezzettato i campionati (timide voci si levarono contro il conseguente svuotamento, per dire, di “Tutto il calcio minuto per minuto”), proposto orari improponibili, imposto una overdose di calcio in tv, rigorosamente a pagamento. A più pagamenti, col pretesto della concorrenza. Il calcio è l’unico settore in cui l’introduzione della concorrenza obbligatoria tra broadcaster ha prodotto l’innalzamento della spesa complessiva a carico dei consumatori (appassionati, tifosi) e l’incasinamento tra orari e canali di trasmissione. Altro che calcio bene comune.
La Superlega, allora, è più sincera della Champions e di tutte le competizioni ufficiali nazionali e internazionali. Un nucleo di squadre tra le migliori d’Europa, multinazionali da tempo, facenti capo a multinazionali sparse per i continenti, vuole organizzare un torneo a partecipazione semichiusa. Sostanzialmente uno show. È spettacolo, intrattenimento.
Le finte disorientanti, i gol acrobatici, i dribbling perculatori, le sgroppate irrefrenabili, le traiettorie iperboliche e millimetriche dei passaggi, gli assist che attraversano selve di gambe e squarci di campo, i colpi di testa a tre metri, le rovesciate a mezz’aria sospesi nell’aria, i passaggi no look, i takle prodigiosi che accalappiano la palla e lasciano indenni le tibie sono assurti a gesti omologhi a quelli dei danzatori, alle interpretazioni mimiche degli attori, al gesto artistico dei pittori.
Ronaldo, Messi, Mbappé, Keane, Modric, Ibrahimovic e tutti gli altri non sono scalciapalla. Da tempo le loro pedate in mutandone li hanno condotti sull’olimpo dello star-system planetario di stampo hollywoodiano. I loro account social, fenomenali veicoli di propaganda e pubblicità, hanno milioni di follower adoranti e spendenti.
E poi, tornando sul rettangolo d’erba, quante volte spettatori assorti, al contempo internauti, commentano le partite di questi fantastici eroi scrivendo o esclamando: «giocano un altro sport»?
Il tifo non c’entra nulla. Lo spettatore sceglie tra Real Madrid – Manchester e il film su Netflix o la musica su Spotify o la serie su Amazon prime.
È calcioshow. È un’idea affatto nuova nel mondo, essendo il perno dello sport professionistico USA. Nel nuovo mondo andare allo stadio, chiuso o aperto che sia, da decenni è un’opzione alternativa all’andare a teatro, a cinema, al ristorante. Il tifo non c’entra nulla, ribadiamolo. Ma il tifo come fenomeno sociale, la passione come esperienza personale e collettiva, non muoiono con la Superlega. Per 12, 20 o 30 clubs che partecipano al calcioshow ce ne sono 30mila che continueranno il calcio ordinario che conosciamo. Con mezzi limitati, stipendi ordinari, agonismo più intenso, rozzezza tecnica e tattica analoga a quella degli stadi.
Con onestà intellettuale va ammesso che esiste un football intrattenimento e un football del cuore. Sono diversi e separati come lo sono i mezzi, gli interessi e le capacità di chi gestisce i club appartenenti alle due diverse branche.
Il sentimentalismo di cui hanno parlato politici e dirigenti Uefa nelle poche ore successive all’annuncio della SuperLega è mera strumentalizzazione della passione calcistica delle persone e della passione per lo spettacolo degli amanti del football. Melassa vomitevole asservita a corruttela e affarismi.
Resta il dilemma dei fessi. È possibile che un affare così serio e sincero, quale è la Superlega, possa essere gestito da persone, Agnelli e Perez, incapaci di rendersi conto che si tratta per il continente europeo di una svolta epocale, traumatica benché necessaria? Se i fessi se ne fossero resi conto avrebbero costruito l’annuncio coltivando consenso, opportunamente spiegando le ragioni della scelta, l’ambizione della proposta, la sua onestà.
Invece è stato gestito tutto peggio di quanto avrebbe fatto la banda bassotti. Modelli da Topolino più che da Harvard Business review. Fessi.
La Superlega resta un’idea giusta e in quanto tale non tramonterà, come invece tramonteranno i fessi che hanno fallito il primo tentativo.