Se anche una partita di calcio è troppo per la soglia di attenzione dei postmoderni
Almeno un merito bisognerà riconoscerlo agli avidi quanto sgangherati promotori della Superlega europea, che proprio in queste ore, dopo una compatta levata di scudi di popolo e palazzo (bella e sincera la prima, decisamente farisaica la seconda), si avvia a un mesto ma probabilmente provvisorio tramonto.
Oberati dai debiti e sollecitati dai loro analisti di mercato, i Florentino Pérez e gli Andrea Agnelli hanno infatti compreso prima e meglio di altri che, dopo quarant’anni di devastazione del sistema scolastico e di produzione deliberata di «vuoti a perdere», i ragazzi della Generazione Z, quelli nati all’incirca tra il 1995 e il 2015, non dispongono più nemmeno degli strumenti cognitivi e della soglia di attenzione necessari a seguire una partita di pallone di novanta minuti.
È soprattutto per tale ragione che i padroni mondiali della pelota intendono progressivamente sostituire la cara vecchia partita con gli highlights di continui scontri scintillanti tra dream team di plastica e globetrotters pagati trenta milioni l’anno, evitando così di perdere sanguinose quote di mercato a favore di Fortnite e Call of Duty, come dichiarato dallo stesso Presidente della Juventus, o di social popolarissimi tra i teenager come TikTok.
Se la tendenza dovesse davvero essere questa, non è difficile immaginare che fine faranno quelle attività cognitivamente più complesse che definiscono l’uomo e il cittadino da almeno 2500 anni, quando fiorirono sotto il sole dell’agorà ateniese: ascoltare una lezione, leggere un libro, partecipare a un dibattito politico, apprezzare un’opera d’arte, parlare dei propri sentimenti alla persona amata, scrivere una lettera a un amico, concentrarsi sul proprio lavoro per più di mezz’ora.
E dunque verrebbe da chiedere agli eterni giustificazionisti dell’esistente, agli alfieri del there is no alternative thatcheriano e del «non c’è nulla da fare, sono processi irreversibili determinati dal mercato», in Italia molto più diffusi e arrendevoli che altrove, come si è visto anche in queste ore: ma vi siete fatti bene i conti? Vi piacerà vivere in un mondo in cui una manciata di piattaforme mastodontiche e di tiranni del capitale regneranno – evidentemente non solo in ambito calcistico – su miliardi di consumatori beoti e impotenti? Un mondo dove non saranno mai possibili un Leicester, un Napoli di Diego, un Benevento neopromosso corsaro a Torino o dove, fuor di metafora calcistica, un ragazzo dello Zen, di Mogadiscio o di Buenos Aires partiranno sempre sconfitti e non avranno mai l’opportunità di dire la loro?
Pensateci bene, prima di assecondare questi processi anziché combatterli in tutte le sedi possibili, e innanzitutto a scuola, dove da decenni semplificate ciò che non andrebbe semplificato, sintetizzate ciò che non andrebbe sintetizzato, istupidite ciò che non andrebbe istupidito. Pensateci bene, anche perché, prima ancora della sperequazione economica, culturale e sportiva, è in ballo un’epocale mutazione antropologica e cognitiva. E tutta l’automazione, tutta l’intelligenza artificiale del mondo non verranno in nostro soccorso, se per le nuove generazioni una fase di gioco un po’ stagnante di Udinese-Sassuolo sarà ormai diventata un peso insostenibile.