Il professor Doshi ribalta i dati sul vaccino Pfizer

Peter Doshi è professore associato in ricerca farmaceutica nell’ambito dei servizi sanitari all’università del Maryland.
Il suo impegno per rendere più accessibili i dettagli degli studi clinici è stato documentato fin dal 2013 anche dal New York Times. Una figura, dunque, assimilabile a un paladino del diritto alla salute pubblica, con un particolare interesse alla effettiva fruibilità dei farmaci e alla trasparenza del loro iter di approvazione.

Recentemente ha espresso dubbi riguardo la reale efficacia dei vaccini contro la Covid-19, con un intervento pubblicato nel suo blog sul British Medical Journal, la prestigiosa rivista scientifica di cui è redattore associato.
Il pomo della discordia è il modo in cui il professore Doshi calcola l’efficacia del vaccino Comirnaty che secondo la sua interpretazione scende al 29% o addirittura al 19% invece del 95% propagandato dalla Pfizer.

La questione fondamentale riguarda la computazione o meno dei casi sospetti di infezione, seppur non confermati dai test di laboratorio, nell’equazione che determina l’efficacia del vaccino .
Si tratta di 3410 casi nell’ambito di una platea di 44000 soggetti considerati, che Doshi prende in considerazione e la Pfizer no.

Il professor Doshi col suo studio mira a evidenziare che se il vaccino funziona davvero bene deve essere principalmente capace di abbassare il tasso di ospedalizzazione, i casi di terapia intensiva e il numero di decessi tra tutti i partecipanti di uno studio clinico (e in condizioni reali ovviamente) senza discriminare chi non sia positivo ai test di laboratorio.

La questione non è secondaria in quanto il numero di malati sospetti Covid-19 nei test della Pfizer è inusitatamente elevato (sorprendentemente 20 volte in più dei casi confermati con test molecolari, 3410 contro 170). In queste condizioni, pertanto, sarebbe stato più prudente indirizzare lo studio clinico anche verso un’analisi dei casi di malattia grave sulla totalità dei soggetti ammalati (sia di Covid-19 che non).

La Pfizer non è potuta entrare nel merito in quanto ha escluso in toto i 3410 pazienti sospetti Covid-19. Non solo, nei rimanenti soggetti confermati Covid-19 (vaccinati e non) c’è stata una scarsa incidenza di casi gravi laddove lo studio clinico per Comirnaty aveva come clinical endpoint (obiettivo clinico) solo l’analisi di “mild symptoms” (sintomi blandi) della malattia.

Come spiega bene Doshi, se è presumibile ipotizzare che i casi di Covid-19 confermati da test clinici possano avere un decorso più grave della malattia, sarebbe stato davvero utile includere i 3410 pazienti sospetti Covid-19, così da avere a disposizione un’analisi più significativa dell’esito clinico, comparando appunto soggetti confermati e sospetti.

Le analisi del professor Doshi dimostrano che è fondamentale avere accesso alla globalità di uno studio clinico e non fermarsi a interpretare articoli scientifici che nella fattispecie trascurano i 3410 pazienti (davvero tanti) i quali appaiono solo nel documento di revisione della FDA.