La fine del Movimento 5 Stelle
L’abbandono di Alessandro Di Battista e la nuova alleanza del governo Draghi segnano inevitabilmente la fine concettuale, se non ancora effettiva, del Movimento 5 Stelle. Dodici anni dopo la loro nascita politica, i pentastellati hanno esaurito la loro fugace parabola nel più contraddittorio dei modi: il partito del popolo, dell’uno vale uno, della cosiddetta antipolitica, si ritrova oggi a governare con il banchiere Mario Draghi, alleato di Silvio Berlusconi.
Sebbene il Movimento abbia attratto sin dal primo giorno la più grande diffidenza dell’informazione, in pochi forse avrebbero preconizzato il susseguirsi di alleanze con Lega, Partito Democratico e Forza Italia. Ma ridurre oggi l’esperienza del M5S a quella di un manipolo di incompetenti esagitati e qualunquisti sarebbe riduttivo.
La sua fortuna si è fondata negli anni su uno spiraglio di luce. Il tentativo di Grillo e dei suoi è stato quello di far saltare il banco di una politica distante e arroccata dietro il privilegio, ridando qualche speranza a generazioni dimenticate dalle aule romane. Di fronte a una sinistra mai abbastanza radicale e sempre troppo centrista, alla proverbiale inconsistenza dei verdi italiani e a un Meridione mille volte sedotto e abbandonato, le parole di Grillo sono apparse come una possibile alternativa.
Fare opposizione, si sa, è sempre più semplice. Non avendo mai governato, i pentastellati non avevano demeriti storici alle spalle. Il loro obiettivo però era governare. Una bomba a orologeria era allora destinata a deflagrare: come mantenere intatta la tanto decantata coerenza e superiorità morale una volta entrati nei palazzi del potere? La risposta è semplice: non si può.
Non è tutto: i cinque stelle pagano oggi a prezzo ancora più caro la loro irrisolvibile ambiguità di fondo, quella di un partito che negli anni ha avuto paura persino di dirsi antifascista, pur di avere maggiori consensi, quindi pur di governare. Da questo punto di vista, nessuno è stato sin dal principio più aperto alle alleanze di Grillo, al di là di qualsiasi statuto non statuto. L’unica discriminante è stata, fino a un certo punto, la fedina penale pulita. “Honestà!, honestà!”, recitavano i detrattori…
Ma la presunta superiorità grillina si è estinta ben presto: indagini, condanne, alleanze e nuovi mandati si sono susseguiti come nel più classico dei partiti tradizionali. Vedere oggi la V maiuscola di V per Vendetta nel simbolo dei pentastellati fa francamente sorridere.
Sono tutte riflessioni che si fanno con il senno di poi, certo. Il Movimento 5 Stelle avrebbe sicuramente potuto essere una voce dei senza voce nella sfera parlamentare italiana, diverso dai soliti partitini che mai hanno inciso e che si reincarnano con nomi diversi a ogni elezione, nonché diverso dai partiti tradizionali e radicati. La sua vocazione maggioritaria però è stata anche il suo limite, che ha permesso tutte le giravolte del caso, in nome di un’identità liquida e non definita. Il prossimo voto di fiducia al governo Draghi potrebbe allora sancirne la fine effettiva.