Digitale: donne più competenti, ma non in Italia
Nei paesi in cui la disparità di genere è più rilevante le donne hanno pari o maggiori competenze degli uomini in ambito Ict (acronimo inglese che sta per Information and Communication Technology e comprende le attività legate all’elaborazione dati in ambito digitale).
Lo rivela un interessante studio elaborato dall’Unesco in collaborazione con la Equals Skills Coalition, organizzazione che ha l’obiettivo di supportare le donne nello sviluppo di competenze nel settore scientifico e tecnologico.
In paesi come la Tunisia, la Siria, il Qatar, paesi cioè in cui le pari opportunità uomo donna hanno ancora un lungo cammino da compiere, la percentuale di donne che conseguono una laurea o un dottorato in ambito Ict varia tra il 50 e il 60%.
Oscilla invece attorno al 20% in paesi come la Danimarca, l’Inghilterra, la Francia.
L’Italia è tra i Paesi dove il divario di competenze tecnologiche tra uomini e donne è più significativo.
Il Woman in Digital Scoreboard 2020, pubblicato dalla Commissione Europea, colloca il nostro paese al 25° posto – davanti solo a Grecia, Romania e Bulgaria – nell’indice che monitora la partecipazione delle donne all’economia digitale.
Tre gli indicatori presi in esame per stilare la classifica, su un campione di persone di età tra i 16 e i 74 anni:
- l’utilizzo di internet che include attività quali la navigazione sistematica, l’utilizzo della rete per operazioni del tipo online banking, l’invio e la ricezione di documenti;
- le competenze legate all’utilizzo di internet come creare e modificare fogli di calcolo o contenuti per i social media e presentazioni online;
- le competenze specialistiche e l’occupazione che computano le lavoratrici in ambito Ict e la relativa disparità di retribuzione rispetto agli uomini.
Riguardo all’ultima voce di indagine, si rileva come in Italia solo il 15% delle donne lavora nel settore digitale.
«La disparità nel settore Ict nasce da lontano e ha evidenti ragioni culturali. Sono ancora soprattutto le donne ad assumere i carichi di cura domestici e familiari. Il fenomeno è connesso a problemi di competenze educative».
Ad affermarlo è Laura Di Raimondo, direttrice generale di Asstel – Assotelecomunicazioni
«Il problema in Italia non è solo quello del basso tasso di occupazione femminile nel settore, ma anche e soprattutto quello della insufficiente partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Ritengo che la tecnologia, finora terreno di gioco maschile, rappresenti un’opportunità incredibile nella lotta al gender gap. Tante sono le posizioni che, a corredo delle competenze tecniche, hard skill, infatti, richiedono abilità trasversali tipicamente femminili come creatività, empatia, capacità di persuasione».
Il processo di trasformazione e digitalizzazione del mondo del lavoro implica una crescita professionale continua, soprattutto in ambito informatico.
La Di Raimondo si occupa di garantire che questa trasformazione sia sostenibile e non sia penalizzante in termini di occupazione e lavoro, soprattutto per le donne.
«La formazione scientifica e tecnologica rappresenta un’occasione e una sfida per l’inserimento delle giovani donne nelle alte professioni».
Ad oggi, sempre secondo i dati forniti da Woman in Digital, in Italia solo 24 donne su 1000 conseguono lauree o diplomi in ambito ICT e di queste, solo 6 lavorano nel digitale.
Una disparità in ambito formativo che si ripercuote sul mercato del lavoro e sulle remunerazioni.
A tal proposito, «l’articolo 3 della Costituzione italiana», rimarca Di Raimondo, «sancisce la pari dignità tra uomo e donna. Questo principio fa parte degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Il divario retributivo di genere, tuttavia, risulta essere ancora a due cifre su scala mondiale”.
Sotto molti aspetti, la situazione pandemica ha esacerbato ulteriormente il divario di genere nell’Ict e nel mondo del lavoro in genere.
Sono oltre 3 milioni le donne occupate con almeno un figlio under 14 (30,7% del totale delle occupate). Di queste 1 milione 304 mila ha almeno un figlio sotto i 6 anni (13,2%). È evidente che queste donne si trovino, con le scuole chiuse, in maggiori difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia, particolarmente laddove mancano reti formali preposte all’accudimento, alla cura e all’educazione dei figli.
«Il prossimo futuro richiederà impegno per riacquistare competitività, soprattutto grazie all’interconnessione di tecnologia, all’innovazione, alla creatività e alla voglia di mettersi in gioco. Il mondo, Italia compresa, va in una direzione di non ritorno al passato: dobbiamo accettare questa rivoluzione ed essere pronti a cambiare abitudini personali, professionali e sociali».
«Molte madri, ancora oggi, lasciano il lavoro entro il primo anno di vita del bambino per difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura dei figli e della famiglia nel suo complesso. In tal senso, il lavoro agile costituisce un vero e proprio investimento sul benessere delle lavoratrici. È evidente come la situazione che stiamo vivendo sia assolutamente emergenziale e non in linea con il vero significato di smart working. Ma è da questa esperienza che parte la sfida del cambiamento».