Piano vaccini: prima i ricchi!
Distribuire i vaccini in base al PIL regionale. Questa la proposta di Letizia Moratti, nuovo assessore al welfare della Regione Lombardia. Una proposta controversa. Diciamolo meglio: una proposta inquietante. Scopertamente inquietante. Candidamente inquietante. “A un passo dalla barbarie”. Forse, diversi passi oltre la barbarie. Quasi da far rimpiangere Gallera, l’eccelso strologatore. Quasi da far echeggiare una visione del mondo in cui, quando si parla di diritto all’esistenza, il povero è fungibile, mentre il ricco è necessario. Ed è necessario, a quanto pare, solo a certe latitudini. Perché il ricco lombardo vale più del ricco calabrese. Perché, mediamente, immaginiamo, se cade, cade da un piano più alto.
Bisogna essere ricchi nel modo giusto, nel luogo giusto. Una dichiarazione dei redditi voluminosa dovrebbe garantire l’accesso prioritario alle cure, anzi, alla prevenzione, solo se supportata dalla vicinanza di tante altre dichiarazioni dei redditi voluminose. Beati gli straccioni cinti dallo svolazzio degli altrui quattrini. La loro improduttività non li farà crepare di Covid.
Ma non facciamo i sorpresi. Il piano vaccinale morattiano, che infinito sdegno ha addotto, obbedisce, come ogni cosa su questo pianeta, a una logica di mercato. Non è poi così lontano, in fondo, da ciò che si sta verificando su scala globale.
Ovunque i tempi di consegna si velocizzano in funzione della ricchezza media. Ovunque l’immunità di gregge risente delle performance degli indicatori macroeconomici. Basti pensare che l’Italia, da sola, ha già acquistato 200 milioni di dosi. Mentre 54 nazioni africane, insieme, sono riuscite ad acquistarne appena 270 milioni.
In questi casi, di solito, la frasetta magica “è il mercato, bellezza” sarebbe sufficiente ad ammantare di fatalismo una cinica lotta di classe fatta di corpi intermedi acquiescenti, lobbismi intensivi, decisori fantoccio e politiche finalizzate all’aumento delle disuguaglianze sociali. Che comprendono anche, sottratte alla loro genericità lessicale, una diversa capacità di accesso a cure mediche degne di questo nome.
Di solito, la colpevolizzazione, più o meno esplicita, dei poveri per la loro povertà procede senza intoppi. Di solito, appunto. Ma non questa volta. Questa volta ci sono parecchi morti di mezzo ed è sconveniente, almeno in superficie, appellarsi a quei principi che permettono alla realtà iniqua in cui viviamo di essere così com’è. Meglio tirarli fuori in momenti più opportuni.
La Moratti ha cercato di applicare in ambito sanitario un concetto già operativo in qualsiasi altro ambito: chi produce ricchezza vale di più; vale di più ontologicamente; e l’ontologia del capitale, come ogni ontologia che si rispetti, non conosce pause. Si sarà detta: perché quando si parla di sanità le cose dovrebbero andare diversamente? Perché non ragionare secondo il solito schema? Quelli che hanno di meno conoscono il copione a memoria, sono abituati ad avere di meno, sono abituati a considerarsi al di sotto o a considerare la propria dipartita o quella dei propri cari una faccenda essenzialmente secondaria, giusto?
Sbagliato. Sbagliatissimo. Le matematiche della morte, purtroppo, ormai hanno una tale consistenza da non consentire eccessi di “onestà” da parte degli aedi del migliore dei mondi possibili. Il “modello Lombardia”, quello del diritto alla salute dei molti sacrificato per il diritto al profitto dei pochi, delle zone rosse mancate o intempestive, dei conteggi creativi, dei focolai galoppanti nelle fabbriche e nelle RSA, delle cure mediche intese come business e, in ultimo, del “prima i ricchi”, dovrà aspettare tempi migliori per consacrarsi in via ufficiale. Un po’ di pazienza.