Sul campo e fuori, la Serie A vista dallo Scarpino

«La pelota no se mancha».

Diego Armando Maradona non si giudica. Maradona è un demone, poco meno di un dio, più di un caduco mortale.
Può mai saperlo il bell’Antonio? Se Maradona avesse scelto la Juventus sarebbe stato un Cristiano Ronaldo qualsiasi.
Kusturica, lapidario, «cosa potrei dire di Cristiano Ronaldo? È perfetto, guadagna una montagna di soldi, ma dov’è la personalità? Che storie ci potrebbe raccontare? Nessuna».

Blasfemia moraleggiante, mediocre rabbia aleggia putrida nella contrapposizione delle opere del pibe agli episodi di un animo sbattuto nella selva della vita. In analogia calcistica, il calciatore umano che, seduto da una finta divina, si rialza, rincorre e sgambetta.

In Maradona non c’è stato nulla di ordinario e non ci sono sfaccettature. Maradona è un cerchio, una sfera, una pelota. E «la pelota no se mancha”. La sua vita è una linea continua, senza soluzione di continuità e senza ombre, perché le esperienze peggiori le ha vissute sotto la stessa luce che illuminava la sua arte e il campo in cui giocava. È questo è inaccettabile.

Non è accettabile che abbia scelto Napoli per vincere, non è accettabile che abbia irriso Sua Maestà mostrandole la sua linea continua, saper andare oltre la regola, che fosse quella del codice calcistico (primo gol all’Inghilterra) o quella della fisica (secondo gol all’Inghilterra).
A Torino hanno compreso. Con l’eleganza dell’aristocrazia che non teme di essere sminuita, la Juventus ha salutato il pibe con un fotogramma del famigerato gol subito 35 anni fa.

I fatti, i meri fatti dicono che l’immaginario collettivo mondiale riconosce in Diego Armando Maradona il fútbol.
A trent’anni dalla fine della sua carriera artistica la sua opera è conosciuta a tutte le latitudini e per qualsiasi prodezza occasionale si evoca il suo nome. Per questo Maradona è vivo e continuerà a vivere.

SUL CAMPO

Turno di Serie A che offrirà alcuni chiarimenti, a partire dagli anticipi.

Il Sassuolo può prendere la testa della classifica abbattendo la sua agile e ben calibrata creatività sulle statiche, mal assemblate, monotone casacche nerazzurre. Possibile che toccherà sorbire poi il parimenti monotono refrain del trainer Conte: “dobbiamo lavorare”. Abbiamo idee in merito, ma editore e direttore sollecitano di stare alla larga dalle querele.

Pirlo (Juventus), che lo conosce bene, invita a chiacchiere a stare attenti a Inzaghi (Benevento), ma lascia Ronaldo in Continassa. Uno snobismo eccessivo viste le difficoltà bianconere in assenza di CR7. Pur va detto che sulle sponde del Calore piovono reti come in Magnolia piovevano rane. I sanniti hanno subito in casa 14 reti in 5 gare (compresa una di Coppa Italia).

Chiude un sabato interessante come pochi la sfida tra i nerazzurri di Bergamo, reduci dall’impresa di Anfield Road, e un’Hellas ridimensionata dalle ultime prestazioni e da alcune assenze significative. Il bisogno di punti potrebbe condurre a un pareggio altrimenti innaturale per entrambe.

Domenica importante per la Fiorentina, reduce dalla sconfitta casalinga col Benevento. Prandelli ha la fortuna di incontrare il Milan senza mezzo Milan, per l’assenza di Ibrahmovic. Deve approfittarne. Commisso ha cambiato allenatore ma resta il vulnus di una rosa senza attacco, indebolita ulteriormente dalla dipartita di Chiesa. Del Callejon che si sperava ancora non si è vista l’ombra.

Al Diego Maradona già San Paolo, il Napoli cercherà domenica sera di omaggiare il suo dio contro la Roma. Il team di Fonseca gioca bene, sa gestire le partite, va in gol con diversi uomini, si bea di un centrocampo poco estetico ma molto efficace. Ne presagiamo un ottimo prosieguo.

Lunedì pomeriggio bisognerà fare attenzione alle sorti del Torino invischiato, al momento senza segni di cedimento, nella zona retrocessione.