«Non ho giga»: DAD e divario sociale
«Non ho i giga» dice Alessandro*, 14 anni, italiano di seconda generazione – nato in Italia da genitori stranieri – sguardo sveglio e parlantina sciolta.
Frequenta il primo anno di superiori all’Istituto Professionale Cavalieri di Milano.
«I miei mi hanno comprato un computer nuovo e ho un abbonamento internet. Ma le lezioni in video consumano molto e la prof mi fa fuori tutti i giga. A metà del mese non ho già più internet».
Con il DPCM del 3 Novembre 2020, i ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado (eccetto gli studenti di prima media) sono tornati a fare la D.A.D., la didattica a distanza.
Le linee guida del Miur la inseriscono ora in un piano più ampio denominato Didattica Digitale Integrata, in cui le lezioni in presenza possono essere integrate o sostituite dalle lezioni da remoto, secondo una flessibilità che risponde alle esigenze di contenimento del contagio.
Le questioni aperte a riguardo restano comunque molte.
Il dubbio sull’efficacia della didattica a distanza per come è stata implementata finora: la capacità di attenzione dei ragazzi è messa a dura prova dalle lunghe sessioni video e spesso traslare semplicemente le lezioni in presenza in lezioni da remoto si è rivelata essere una strategia poco proficua per garantirne la qualità.
La privazione di socialità per i ragazzi, con tutte le possibili conseguenze psicologiche sul medio – lungo termine: uno studio dell’Istituto Gasilini di Genova, condotto a 3 settimane dal primo lockdown su un campione di circa 3.000 famiglie in tutta Italia, ha rivelato problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 70% circa dei bambini e ragazzi.
Le difficoltà del personale docente che in poco tempo si è trovato costretto a utilizzare strumenti e piattaforme di videochat o a girare e montare video tutorial per i propri studenti senza una formazione adeguata.
Nelle ultime settimane, poi, nuove difficoltà si sono imposte rispetto agli studenti che fanno scuola in presenza: tra quarantene cautelative e contagi dei ragazzi e/o degli insegnanti, spesso le classi sono decimate ed è difficile adattare le lezioni in modo organico e funzionale per tutti.
C’è, infine, un tema già emerso nel primo lockdown e che ancora sottende alle problematiche finora elencate: la mancanza di strumenti idonei e di una buona connessione internet per moltissime famiglie: Alessandro è solo uno dei tanti ragazzi in questa situazione, ed è anche uno di quelli meglio organizzati.
Stando agli ultimi dati Istat (2018-2019), in Italia il 33,8% delle famiglie non ha un pc o un tablet in casa. Percentuale che nel Mezzogiorno sale al 41, 6%. Spesso le famiglie dispongono di un solo pc che va condiviso tra fratelli, imponendo ai ragazzi di arrangiarsi con gli smartphone.
«Il rischio più grande è di perdere completamente il contatto con alcuni studenti che già hanno complessità comportamentali o problemi familiari e sono a rischio dispersione scolastica» afferma Marta Prossimo, insegnante della scuola Giacomo Leopardi di Milano.
«A volte basta che i ragazzi spengano cellulare e computer per perdere ogni traccia per giorni. In più i genitori magari hanno anche perso il lavoro, sono impegnati a sopravvivere e non riescono a essere di supporto alla scuola».
Il governo è corso ai ripari con un voucher internet e computer fino a 500 euro per le famiglie più svantaggiate, che potranno avere uno sconto sulla connessione a banda larga e un contributo sull’acquisto di un computer.
Come in Italia, anche in altri Paesi si sta cercando di far fronte al divario digitale che in pochi mesi si è accentuato in modo allarmante.
In Messico, ad esempio, la situazione è ancora più critica: solo il 44% della popolazione possiede un computer o un tablet, mentre il 93% possiede un televisore. Il governo ha deciso quindi di fare lezione attraverso canali dedicati in tv, come riporta il Wall Street Journal.
Nelle Filippine invece, secondo un articolo di Bloomberg, gli studenti usano gli account Facebook dei genitori per fare lezione attraverso la chat Messenger, che si può utilizzare con il traffico dati del telefonino e non richiede una connessione a banda larga.
L’impressione è che la pandemia abbia messo in evidenza un nervo scoperto e che, nel bene e nel male, abbia accelerato un processo di digitalizzazione e accesso alla rete finora mai affrontato in modo sistematico.
*Alessandro è un nome di fantasia nel rispetto della privacy del minore.
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