Bye bye Mr. Trump? Che America sarà
Sta perdendo, pare, ringraziando Dio. Anzi no, ringraziando gli stessi americani che non l’hanno scelto o ri-scelto.
Il mondo a stelle e strisce è difficile da comprendere: come diceva Walt Whitman “Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono grande, contengo moltitudini…”. E l’America è esattamente così, un po’ Obama un po’ Trump, Martin Luther King e Ku Klux Klan, l’omicida di George Floyd ma anche il Black Lives Matter, è imperialista e pacifista. È una santa e una puttana allo stesso tempo. È la nemesi di tutto il bene e il male del mondo, del quale è summa: perché tutto ciò che odiamo degli Stati Uniti è ciò che odiamo nel mondo, così come tutto quello che di loro amiamo è ciò che di bello vediamo ancora sulla Terra.
Trump ha perso, secondo la matematica (anche se le sorprese possono essere dietro l’angolo) ma non ha perso come Repubblicano, ha perso come uomo. Perfino il GOP inizia a prenderne le distanze. Ha perso perché nella sua parabola politica non è stato americano nemmeno un giorno, calpestando quei valori bipartisan che hanno fatto degli Stati Uniti ciò che sono. Un tempo tra i più famosi tycoon d’Oltreoceano, in cappotto cammello e sciarpa bianca, sempre abbronzatissimo e accompagnato da belle signore dai seni prosperosi. E forse avrebbe fatto meglio a restare quel Trump, quello di “Mamma ho perso l’aereo”, il riccone dai modi guasconi, che tutto sommato fa anche simpatia. E invece no, la sua hybris voleva alloggiare nello Studio Ovale e così ha fatto, grazie a quella svizzera regola del pendolo che lascia sempre poco scampo all’eterno oscillare tra Democratici e Repubblicani.
Ma la notizia più notevole è che la sua non è stata una débâcle: metà del popolo a stelle e strisce lo vorrebbe ancora, e il suo avversario, di certo non sta affrontando un plebiscito popolare. Ciò significa che metà degli americani lo avrebbe rivoluto alla Casa Bianca: definirli stupidi e incomprensibili, cavalcando il vuoto del perenne pregiudizio antiamericano, non aiuta a spiegare questi numeri. Siamo a un crocevia della storia dove presentano il conto l’America rurale e quella urbana, dove si spaccano le comunità etniche tra vecchi e nuovi arrivati, le donne contro altre donne, i giovani fra loro. E su queste faglie Trump, da pessimo padre di famiglia, ha soffiato odio, aizzando gli animi, giustificando violenze, scegliendo i “suoi americani” contro gli americani “degli altri”: roba che il Lincoln di Gettysburg si rivolterebbe nella tomba.
Fin dalle prime battute è apparso come il bullo capriccioso che batte i pugni sul tavolo fino “all’assalto alla decenza” nei mesi peggiori della pandemia, come titolò il Guardian qualche mese fa. Un perenne bimbo isterico che prende il pallone e se ne va, quello contro la scienza, quello che nega l’esistenza del virus e poi si ammala, quello delle iniezioni di candeggina, quello che non stringe la mano di Angela Merkel: insomma, è stato per quattro anni l’ospite villano che al vostro tavolo rutta come se fosse sul suo divano.
Si sono sprecati i paragoni con Ronald Reagan, anche lui “reo” di avere avuto un primo mandato Rambo style per poi benedire la fine della Guerra Fredda: un paragone che non regge. Sebbene venisse dal mondo dorato di Hollywood, Reagan non ha mai sputato sui valori della Nazione, non ha mai messo americani contro americani: era ossessionato dal comunismo come tutti i cold warrior ma pose comunque la sua firma sul Trattato INF.
Dall’altra parte, però, non c’è un liberatore. C’è un uomo mite ai limiti del soporifero, quel Biden che non ha altro merito se non quello di “non essere Trump”. Biden non ha la stoffa di un commander in chief: un enorme passo falso dei Democratici, che mai come in questa tornata dovevano accelerare sulla retorica del sogno e del e pluribus unum, incapaci di scelte ben più coraggiose. Biden non ha verve, anzi non ha quasi nulla di quell’ex presidente di cui resterà sempre all’ombra. Ha con sé una vice energica, Kamala Harris, che probabilmente sarà più incisiva e più risoluta del suo presidente. Donna, nera, ex procuratore, figlia di un giamaicano e di una indiana: è più America di quanto possa esserlo sleepy Joe e questo potrebbe essere la sua fortuna.
Non è neanche scontato (sta per compiere 78 anni) che resista politicamente per due mandati, come aveva fatto intuire all’inizio della campagna elettorale, anche se è presto per dire tutto e il contrario di tutto. Magari ci sorprenderà.
Quello che è certo è che c’è un’America in crisi che ha il sapore di una gigantesca Gotham city percossa e percorsa da tante azioni e reazioni uguali e contrarie. Tristanzuola, grigia e persa come Sting nel video di English man in New York mentre confessa “Oh, I’m an alien, I’m a legal alien”, ma sempre e comunque ardente. Ed è al lato buono di quel fuoco sotto la cenere che ci si appella in queste ore e nei prossimi anni per salvare ciò che resta dell’American dream.