Sceneggiata napoletana a Torino, metafora dell’Italia
Juventus Napoli, match clou del terzo turno della Serie A, si svolgerà fuori dal campo e, prevedibilmente, avrà diversi risultati dopo lo scontato, iniziale 3 a 0 a tavolino.
La Juventus è scesa in campo con lo scopo di ottenere la vittoria a tavolino. Più che limitarsi a creare le condizioni per attestare la regolare presenza al match, la società guidata da Andrea Agnelli ha ostentato una normalità che faceva a cazzotti con l’anormalità del caso, con la certezza dell’assenza dell’avversario. Paradossalmente, una sceneggiata napoletana a Torino (e su Twitter).
L’undici del Napoli è rimasto a Napoli per decisione assunta da una ASL e ribadita da un’altra.
L’antefatto, non irrilevante benché non considerato nell’acceso dibattito che va avanti da giorni, è che il Genoa, per un disguido nell’esito dei tamponi, ha giocato a Napoli il turno scorso con ben tredici calciatori, poi passati a diciassette, che si è scoperto (dopo il match) essere positivi al virus SarsCov2. Il tanto declamato protocollo, dunque, è stato di fatto involontariamente violato il 27 settembre scorso. Tant’è che successivamente la Lega ha dovuto disporre due precisazioni per scongiurare il ripetersi dell’episodio.
L’allarme o, più probabilmente, il panico si è diffuso tra i partenopei dei quali, ad oggi, solo due sono risultati positivi al virus.
La vicenda e il dibattito seguito alla partita non giocata e non ancora aggiudicata sono la summa e la metafora del paese, della sua decadenza, dell’inadeguatezza delle classi dirigenti a tutti i livelli.
Il sospetto
Una prima questione riguarda il sospetto, la cui cultura dilaga in ogni ambito della vita civile nazionale, fomentata da molti politici e altrettanti giornalisti. Una cultura che avvelena il pensiero e produce effetti malefici. Nel caso specifico il sospetto è che Aurelio De Laurentis abbia brigato per subire dalle autorità sanitarie il divieto di recarsi a Torino e ottenere per questa via un rinvio del match. Un imbogliuccio, espressione della innata tendenza meridionale a sottrarsi ai propri impegni più gravosi, secondo alcuni, incapaci tuttavia di trovare raziocinanti motivazioni al presunto desio di rinvio.
A rendere verosimile il sospetto conta l’audacia del produttore cinematopanettonaro dal capello unticcio quanto il suo contegno. Il silenzio elettorale campano, per dire, fu rotto dalla roboante dichiarazione del nostro che schierò il “ciuccio”, così è iconicamente identificata la squadra azzurra, a sostegno del candidato alla presidenza della Regione Campania (nel cui campo gravitazionale le ASL orbitano) Vincenzo De Luca, poi rieletto con maggioranza esorbitante.
In precedenza, l’estate scorsa, Aureliunticcio con la febbre e il covid “ncuollo” partecipò a un’assemblea di Lega, incurante di poter essere untore.
Il mantra (non quello del Fantacalcio) e la farsa
Qui viene in risalto una seconda questione, non meramente italiana. Il protocollo, sbandierato come un mantra infallibile in queste ore dalla Lega e dalla Figc, nei fatti presuppone che i calciatori, moderni e conniventi schiavi del sistema che li strapaga, possano liberamente contagiarsi tra di loro. Uno, due, tre via, fino a dieci, ungetevi di virus tra di voi. Chissenefrega della salute di costoro. Come un tempo i gladiatori, si ammazzino pure tra loro, sia osannato il più resistente.
Beninteso, i Presidenti padroni e i loro collaboratori dirigenti si presentino allo stadio distanziati e con mascherina, che giammai corrano il rischio di contagiarsi. Che la farsa vada in scena a regola d’arte.
Ventidue tesserati del Genoa si sono incrociati, parlati, toccati, urtati, abbracciati, sputati con la squadra del ciuccio, facendone potenzialmente una sorta di autobomba carica si SarsCov2. Giammai, però, si blocchi il pericolo d’esplosione, si parta per Torino a tutti i costi. Lo dice il protocollo, lo stesso che avrebbe dovuto impedire che il Genoa giocasse a Napoli. Questa ASL chi è? Perché si impiccia? The show must go on.
Andreuccio e le sue pinzillacchere
Altro aspetto riguarda la Juventus e il suo Presidente Andrea Agnelli. L’uomo appare smanioso di esorcizzare una soggezione, assoggettando, o tentandoci, il prossimo ai propri capricci. L’urgenza dell’affermazione della propria personalità, forse mortificata altrove, si traduce nell’esposizione di una arroganza indebolita da castronerie (“le ASL dipendono dal Ministero della Salute”) e pinzillacchere. Laddove l’Avvocato avrebbe speso la graffiante superiorità intellettuale per annichilire il resto del mondo pallonaro e non solo, Andreuccio (che fa rima con Aureliunticcio) si perde e perde credibilità.
Così languono il calcio italiano e la sua massima divisione. Non pesa il pericolo di non sfogliare tutte le giornate del calendario, quello vale per i diritti tv, per i soldoni. Il football italico langue perché la Lega, la FGCI e le società sono incapaci di fiduciosa ragionevolezza, di ordinare il caos dei galli nel pollaio, di governare le difficoltà, di assicurare credibilità al sistema. I galli, si sa, non vanno noti per la perspicacia.
In fondo è come per l’Italia, il sospetto perenne, le arroganze becere, l’obiettivo della ripicca piuttosto che del superiore interesse comune, il guardare all’immediato o al più al pomeriggio, la cecità strategica, l’approccio da ultras contrapposti, la tua morte o sconfitta per la mia vita o vittoria, transitoria e meschina.
E’ l’Italia del 2020.