Spera negli angeli il blues di Lucinda Williams
È tempo che le anime buone e gli angeli migliori scendano sulla terra. È tempo di cambiare prospettiva, di tornare sul sentiero della speranza attraversando ombre, dubbi e paure. È necessario farlo, prima di andare giù, oltre il fondo.
“Fondamentalmente il mondo sta cadendo a pezzi, è come l’apocalisse”, dice Lucinda Williams nella presentazione del suo nuovo album, scritto e composto giusto un attimo prima che il mondo crollasse davvero, sotto la spinta della pandemia da coronavirus.
Good Souls Better Angels, uscito a fine aprile, è sicuramente il disco più legato all’attualità della songwriter originaria di Lake Charles, Louisiana, in una carriera quarantennale in cui ha prodotto lavori notevoli, come West (2007), Blessed (2011) o l’ultimo The Ghosts of Highway 20 (2016).
Ad esclusione di This Sweet Old World (2017) – splendida rivisitazione di un album del 1992 – Good Souls Better Angels è il primo disco in studio dopo quattro anni e presenta molte novità rispetto al passato a partire dalla produzione, affidata alla stessa Williams, al marito/manager Tom Overby e a quel Ray Kennedy che aveva prodotto, nel 1998, Car Wheels on a Gravel Road, album che conferì a Lucinda notorietà e successo a livello internazionale.
In secondo luogo, la partecipazione ufficiale di Tom Overby (che aveva già avuto un ruolo da ghost writers in alcuni brani dei dischi precedenti) nella stesura delle liriche.
Per finire, la presenza costante e incisiva della Buick 6 Band, composta da Stuart Mathis (chitarra e violino), David Sutton (basso) e Butch Norton (batteria), che accompagna, Lucinda Williams dal vivo dal tour per il ventesimo anniversario di Car Wheels on a Gravel Road.
La vera novità, tuttavia, emerge all’ascolto dell’album: mai un disco di Lucinda Williams è stato così elettrico e diretto, così caratterizzato da un forte impatto sonoro ed emotivo.
In effetti, il lavoro del 2020 della chanteuse di Nashville (città della musica e del Nashville sound), dove attualmente vive con il marito, pur muovendosi dall’area stilistica consueta, generalmente definita come Americana, va incontro a contaminazioni di ben altra natura e origine. Qui i dilatati passaggi elettro-acustici di buona parte della produzione precedente sono occasionali e riservati a pochi brani. Ciò che si avverte fin dalla prima canzone è una certa urgenza espressa dalla potenza tagliente e rabbiosa di chitarre e amplificatori e che si esplica attraverso i testi e la voce di Lucinda, anch’essa spesso diversa dal solito. Ma, se questa urgenza è il tratto immediatamente riconoscibile di Good Souls Better Angels, non è certamente l’unico, in un disco praticamente privo di riempitivi.
La tracklist dell’album è perfetta, col principio dell’alternanza accompagnato dal criterio dell’equilibrio. Così, alle tradizionali ballate in stile Americana, si alternano vigorose canzoni di rock urbano e ruvidi brani blues che confluiscono in un armonico quadro d’insieme in cui si realizzano incontri impossibili: riflessi, soprattutto vocali, della Patti Smith dei seventies, rimandi ai primi Stooges e inevitabili richiami al Delta Blues di Robert Johnson.
Il disco si apre con due brani decisamente blues.
Il primo, You Can’t Rule Me, è la rielaborazione di un brano di Memphis Minnie e il messaggio è immediatamente chiaro: “Sì, puoi aspettarti che ti segua, ma non mi metterò in riga”. È un consapevole inno all’indipendenza femminile espresso mediante un evocativo mid-tempo con voce tesa e roca.
Bad News Blues, in seconda posizione, porta qualche attimo di apparente calma, con la chitarra di Mathis che ricama fraseggi e assoli bluesy fin dentro il midollo e con la voce asciutta di Lucinda che racconta come le cattive notizie dei tanti (troppi?) canali di informazione arrivino in qualunque spazio della vita delle persone (“Cattive notizie ovunque, su tutti i miei vestiti, sotto il cappello, non riesco a liberarmene”).
Man Without Soul ha un bersaglio facilmente identificabile in Mr. Trump (“Sei un uomo senza verità, un uomo di avidità, di odio, di invidia e dubbio”) e, nel suo incedere lento e sempre più pesante, mette insieme blues e psichedelia mentre si dipana, tra wah-wah e slide guitar, fino agli avvolgenti assoli del finale.
La depressione è al centro di Big Black Train, una struggente ballata in stile Williams colorata dalle note dell’organo hammond (Mark Jordan), anche se non si va oltre l’oscurità della “notte più buia” e di “quel grande treno nero” su cui “non voglio salire”.
Segue Wakin’ Up, brano duro, carico di percussioni, tra Jon Spencer e Stooges, che tratta in maniera esplicita della violenza domestica vissuta da Lucinda.
Il fantasma di Robert Johnson sembra aleggiare nel crescendo di Pray The Devil Back To Hell, con interventi di violino che lo rendono ancora più sulfureo, sebbene la speranza sia che il male torni alla sua infernale dimora.
Shadows & Doubts è una delicata ballata elettroacustica che, con ricami di organo e slide guitar, sembra voler sottolineare la serenità del dubbio.
L’infodemia dei social media è il tema trattato in When The Way Gets Dark sulle ali di un country-folk delicato, caratterizzato da una voce suadente e particolarmente intonata.
Le tre canzoni che seguono sono probabilmente le più dure mai scritte da Lucinda Williams. Bone Of Contention è senza pietà, sia nella musica che nel testo: hendrixiana nelle parti di chitarra e punk nell’attitudine, con la voce roca e spezzata di Lucinda, sostenuta da quella di Mathis, racconta di un individuo malvagio che è oggetto di contesa (ancora Trump?).
Non c’è tregua: Down Past The Bottom è ancora più cattiva, è un’interminabile caduta oltre quel fondo in cui non trova spazio neanche il male; diretta, dura, ancora punkeggiante con la voce che richiama a memoria alcuni passaggi della Patti Smith di Easter.
Giusto il tempo di tirare il fiato e Big Rotator irrompe diventando sempre più serrata, quasi ossessiva, circolare, nel suo incedere rock-blues disseminato di wah-wah. Se Dio è il “grande rotatore” che fa girare il mondo e il male l’istigatore delle cattive azioni degli uomini, questo genere di mondo si può fermare con la giustizia, che è il “grande motivatore”.
E adesso si può tornare a respirare.
La chiusura del disco è affidata a Good Souls una lunga e cullante preghiera che incita alla resistenza e alla perseveranza nel bene, nella speranza delle azioni di quegli “angeli migliori” che “aiutano a trovare la forza” nei momenti più bui.
Un ottimo disco (la cui versione in doppio vinile contiene 5 demo acustici di altrettanti brani dell’album) non poteva non avere un ottimo brano di commiato, da ascoltare alla fine di una lunga giornata, prima di rifugiarsi tra le braccia di un’anima buona che dona protezione. Perché le anime buone esistono, l’importante è non farle arrabbiare.