Siete un popolo di schiavi, ci disse una signora contraria alle mascherine
A Ferragosto, mentre i più intingevano le natiche da qualche parte nel Mediterraneo, sul vagone di un treno, di un treno istruttivo, una risoluta signora si batteva, immolandosi, per i diritti dell’ingrata collettività italica. In particolare, per il diritto di salire a bordo di un convoglio senza indossare la mascherina. Il classico diritto dal sapor d’intelligenza, direbbe la fanbase del Capitano. Ovvero, la tipica ciarlatanata su rotaia d’un pomeriggio di mezza estate, a sentire il detrattore generico. Che suole discernere drasticamente tra libertà di parola e libertà di fiatare, conscio dell’aria di famiglia che lega flatulenza e flatus voci.
Così l’ignota e occhialuta signora: “Siete un popolo di schiavi!”. Dove per “popolo” si intende, probabilmente, la stessa cosa che intendeva Voltaire quando utilizzava il vocabolo canaille: masse ignobili che rispettano solo la forza e non pensano mai. E dove per “schiavi” si intende l’insieme di coloro che, pur di non sabotare la salute pubblica appiccando un focolaio, preferiscono gironzolare a ranghi ridotti con del tessuto celestignolo sulla faccia. Ormai, senza neanche accorgersene. Come se fosse normale tutto quell’appiccicume autoritario. Come se lo sconvolgente egoismo del neonato di freudiana teorizzazione non rappresentasse una congrua strategia per prendere di petto il ritorno del contagio.
Le nostre libertà stanno andando in malora, nonostante il momentaneo, molto momentaneo, diradarsi delle tenebre: fortuna che i tizi che invocano, bimbominchieggiando, i pieni poteri e che dichiarano di avere un “rapporto sereno con il fascismo” sono sempre in prima linea a ricordarcelo.
Soprattutto le forme più demenziali, seppur sacre, di libertà faticano a farsi valere. Quelle di cui difficilmente potremmo fare a meno. Le uniche per cui capita di assistere a piazzate a bordo di un mezzo di trasporto pubblico con il favore dei politici di grido. Come la libertà di tossire sul prossimo, di diffondere aerosol infetti e di mandare, eventualmente, all’altro mondo qualche immunodepresso a tiro. Privilegi, anzi diritti, da uomini liberi ai quali l’occhialuta e incendiaria signora del treno dall’ignota destinazione non vuole rinunciare.
Tra i passeggeri increduli, qualcuno ha provato a spiegarle, anche con delle bambole, il significato delle espressioni “senso civico” e “rispetto per il prossimo”. Ma niente da fare. La retorica servile nulla ha potuto al cospetto del fuoco libertario: cos’è gementi schiavi questo mascherinar mascherinare? Meglio morir tra i letti, col boccheggiar del male!
D’altronde, dopo anni e anni di bisbocciate propagandistiche, da destra, sul concetto di libertà, c’era da aspettarselo che la versione per cretini dell’anarchia, che invece è una cosa seria e nobile, potesse prender piede.
Libertà, nel corso populista degli eventi, è libertà dal pensiero. È battersi per l’onore del divertimento coatto, per l’onere dell’ignoranza e dell’insulto, è fare il cazzo che si vuole sempre e comunque. Specialmente se i consumi e i profitti ne giovano e purché la Bibbia e Steve Bannon non abbiano nulla in contrario. Un’idea di libertà regressiva, lontana anni luce dalle idee di autodeterminazione, di responsabilità, di autodisciplina, di emancipazione.
Un’idea, curiosa, di libertà che spesso comprende un’altrettanto curiosissima concezione della privacy. In base alla quale è cosa buona e giusta far sapere a Google persino il numero esatto dei propri peli pubici, mentre è, al contempo, abominevole scaricare una app che possa contribuire ad arginare la trasmissione del virus. La vita privata può essere invasa solo con finalità commerciali. La salute pubblica, anche dei propri cari, non merita tale sacrificio.
Su schiavi, allarmi, allarmi! Pugnam col braccio forte! Giuriam, giuriam giustizia! O libertà o morte!