Lo tsunami moralista che cancella la libertà di pensiero
Uno tsunami moralista sta travolgendo il mondo e fa vittime nelle redazioni dei giornali.
Bari Weiss, trentaseienne ex editorialista del Wall Street Journal, si è dimessa dal New York Times.
Nei mesi scorsi avevano già lasciato James Bennett, caporedattore editoriali e opinioni, e il suo vice Jim Dao. Venerdì scorso Andrew Sullivan, ha pubblicato il suo ultimo editoriale per il New York Magazine.
Di questo passo non resteranno giornalisti nelle redazioni e i giornali pubblicheranno solo tweet, seguendo le orme di Cronache della Sera.
Gabriele Romagnoli ne raccontò la storia nel 1993. Il direttore e l’editore erano convinti che la gente leggesse solo i titoli. Licenziarono, così, tutti i giornalisti e fecero un giornale di soli titoli ben scritti e colonne di lettere a caso. Registrarono il record di vendite.
La storia di Cronache della Sera fu inventata, quella della Weiss e degli altri è vera.
“Il vero direttore del NYT è Twitter” ha tuonato la giornalista nella durissima lettera di dimissioni pubblicata sul suo blog, denunciando l’appiattimento della linea editoriale e la compressione dello spazio di libera discussione. La testata più seguita del mondo è oramai preoccupata più di assecondare o non disturbare il mood politically correct degli utenti social che di pubblicare opinioni discordanti o scomode.
Il problema non è solo del NYT. I giornalisti un po’ ovunque pagano con la bullizzazione da parte dei colleghi “perbene”, la violenza social e il posto di lavoro le posizioni stridenti col conformismo dilagante.
Non sono ammesse deviazioni dal linguaggio e dal pensiero della corrente culturale(?) dominante. La pena va oltre la censura, prevede la cancellazione delle persone e del loro pensiero critico.
Il fenomeno, noto appunto come “cancel culture”, è stato denunciato da 150 intellettuali internazionali in un documento pubblicato sulla rivista Harper’s.
“Atteggiamenti moralisti e impegni politici tendono a indebolire il dibattito pubblico e la tolleranza per le differenze, a favore del conformismo ideologico. Mentre ci rallegriamo per il primo sviluppo, ci pronunciamo contro il secondo” hanno, tra l’altro, significativamente scritto.
“È diventato normale sentire richieste di tempestive e dure punizioni in risposta a quelli che vengono percepiti come parole o pensieri fuori posto“, continua il documento che si conclude con una riflessione preoccupata sulle conseguenze democratiche di questi atteggiamenti: “i limiti al dibattito, che dipendano da un governo repressivo o da una società intollerante, finiscono per fare più male a chi è senza potere e rendono tutti meno capaci di partecipare alla vita democratica“.
La riflessione sulla “cancel culture” è molto sfumata in Italia, dove pure non mancano casi (Feltri, Montanelli, Murgia) e dove si è sostenuto che il fenomeno sia marginale.
L’imposizione di un orientamento di pensiero e di linguaggio, però, agisce sottilmente nel quotidiano, striscia nell’atteggiamento dei singoli, condiziona i media, lide il tessuto liberale della società.
I social, che secondo alcuni ne sono la causa, il che è qui irrilevante, ne sono la testimonianza. Le opinioni disturbanti o semplicemente riflessive, sono mal tollerate e generano discussioni che sfociano nell’insulto piuttosto che nel confronto. L’orientamento è abbattere più che contrastare, screditare più che opporre, asserire più che discutere.
Si ha talora la sensazione opprimente di vivere in uno stato teocratico i cui principi ispiratori sono radicati nei temi cruciali del moralismo politically correct: parità di genere, maschilismo, sessismo, razzismo, differenze religiose, orientamenti sessuali.
Su questi argomenti, a prescindere dalle più encomiabili azioni eventualmente compiute, dall’orientamento di più profonda considerazione e rispetto del prossimo, occorre stare attenti al vocabolario.
Si è imposto uno schema manicheo secondo cui è sufficiente una parola o un pensiero non allineato per venir bollati irrimediabilmente come nemici della società inclusiva, che non si cura, tuttavia, in pericoloso ossimoro, di includere la libertà di critica.
L’esercizio della riflessione libera è percepito come un fattore di grippaggio del rassicurante ingranaggio conformista, trasversale agli orientamenti politici di destra e sinistra.
Non esistono ancora analisi capaci di far luce sull’origine di questa ondata illiberale. Certo, col crollo degli schemi novecenteschi, le tematiche fulcro del nuovo moralismo offrono agevole attracco, un safe space, al bisogno di sentirsi dalla parte giusta.
Un’ondata illiberale allaga e travolge il mondo. I giornali liberi, il linguaggio non imbavagliato e il pensiero critico sono i frangiflutti. Speriamo reggano.