Lo sguardo del vecchio Rembrandt
Con un termine un po’ abusato – coniato per le bombe inglesi della Seconda Guerra Mondiale e poi passato al mondo dello spettacolo – sono state definite “mostre blockbuster”. Si tratta di quegli eventi espositivi che per nomi coinvolti, particolare risonanza del luogo o delle opere, concomitanza con anniversari e una martellante campagna pubblicitaria, richiamano una enorme fetta del pubblico che mediamente frequenta le istituzioni museali. Una grande fetta, certo, ma non l’intero pubblico. Perché, per fortuna, le mostre blockbuster non sono l’unico prodotto dell’attività espositiva e museale.
Accanto a questi eventi enormi (e non sempre riusciti), infatti, si colloca un’attività proteiforme di esposizioni più piccole, dall’appeal minore ma dal rigoroso taglio storico-scientifico a motivarle.
È il caso, in questi mesi, della piccola mostra Rembrandt alla Galleria Corsini: l’Autoritratto come San Paolo, curata da Alessandro Cosma e ospitata appunto nel museo romano di via della Lungara, a Trastevere, prorogata (dopo il lockdown) fino al prossimo 30 settembre.
La Galleria Corsini, gioiello espositivo che ospita l’importante quadreria raccolta a partire dalla fine del’600 e per tutto il secolo successivo dalla omonima famiglia di origine fiorentina – con opere, fra gli altri, di Caravaggio, Guido Reni, Ribera, Beato Angelico –, è di per sé un luogo solo apparentemente “minore” rispetto ai celebri musei romani, in realtà estremamente affascinante. Nella mostra in questione, poi, due sale nel percorso fanno luce su uno dei più importanti quadri appartenuti in passato ai Corsini, l’autoritratto che Rembrandt van Rijn dipinge nel 1661, oggi in prestito dal Rijksmuseum di Amsterdam.
Un dipinto a olio dell’età matura realizzato quando l’artista olandese aveva 55 anni. Rembrandt, che nel corso della sua vita e con diverse tecniche ha realizzato oltre ottanta autoritratti, si mostra qui – ed è un caso unico – con turbante, la spada del martirio e il voluminoso insieme delle epistole, nei panni di San Paolo. La tela mostra in maniera efficace la tecnica che il maestro di Leida ha fatto sua nella fase tarda della sua produzione. Una pittura materica, dalla pennellata grassa e corposa attraverso cui – per utilizzare le splendide parole di Svetlana Alpers in L’officina di Rembrandt – l’artista “sottolinea l’affinità tra pigmento e carne umana”. L’Autoritratto come San Paolo, dunque, restituisce all’osservatore questo impasto striato, in cui la luce colpisce e fa risaltare i bianchi luminosi del turbante o le rughe e lo sguardo quasi sorpreso, istantaneo, con cui l’artista si rivolge al pubblico.
Ma, oltre alla bellezza dell’opera, qui accompagnata da una selezione delle splendide incisioni di Rembrandt appartenute ai Corsini (tra cui l’ottima Tre alberi – quasi “proto-Constable” nella resa atmosferica della pioggia – o Cristo che guarisce gli ammalati, chiamata anche La stampa dei cento fiorini per l’altissimo costo voluto dall’artista), il senso storico che ne motiva l’allestimento alla Galleria Corsini è che l’opera si mostrava proprio in quelle sale del Palazzo alla Lungara a partire dagli anni ’30 del Settecento e fino alla fine del secolo. Nel 1799, infatti, come è stato recentemente scoperto attraverso i documenti esposti qui in originale, l’opera è stata venduta in un blocco di 25 tele dal “maestro di casa” dei Corsini, Ludovico Radice, per far fronte alle spese imposte alle ricche famiglie romane a seguito dell’occupazione francese della città.
Insomma, quella di Rembrandt è una mostra piccola nelle dimensioni ma non nel contenuto, in cui il piacere di osservare dal vivo la pennellata del maestro si accompagna all’alto valore storico-documentario che la guida. Per qualche mese lo sguardo del pittore di Leida nei panni di San Paolo è tornato a guardare quelle vecchie sale a lui familiari.