L’importanza storica del ricordo
Nella storia dell’umanità ci sono eventi, testimonianze e costumi che preferiremmo dimenticare, poiché ci fanno star male ogni volta che li rievochiamo. Se fosse possibile, ne annulleremmo per sempre il ricordo, con un meccanismo simile a quello utilizzato nel film Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind, 2004). D’altro canto, anche in questa famosissima pellicola il protagonista prende coscienza dell’intrinseco valore delle esperienze negative, finendo per desiderare di poter invertire il processo di eliminazione selettiva e tornare a ricordare: semplicemente perché, dimenticando il passato, è impossibile intervenire sul presente e si rischia di perpetrare gli stessi errori nel futuro.
Questo mercoledì, la piattaforma d’intrattenimento HBO Max ha ritirato Via col vento (Gone with the Wind, 1939) dal catalogo dei film disponibili, con l’accusa di essere “un prodotto del suo tempo costellato da pregiudizi etnici e razziali, che erano sbagliati allora e lo sono anche oggi”. Tuttavia, il film dovrebbe presto tornare disponibile con l’aggiunta di un’adeguata premessa e discussione critica dei contenuti.
Il valore storico di questa trasposizione cinematografica non risiede tanto nella trama o nelle innovazioni tecnologiche impiegate per la sua realizzazione, bensì in ciò che essa ha rappresentato nella storia del cinema e nelle lotte per l’uguaglianza. L’attrice Hattie McDaniel è stata la prima donna afroamericana a vincere un Premio Oscar e dovette affrontare notevoli difficoltà e discriminazioni anche solo per poterlo ritirare.
Senza Via col vento, probabilmente, non avremmo film di denuncia come Il colore viola (The Color Purple, 1985) e ci sarebbe molta meno varietà nei cast dei grandi film internazionali. Se Hattie McDaniel non avesse interpretato una cameriera goffa e stereotipata nel 1939, difficilmente Morgan Freeman avrebbe potuto interpretare il ruolo di Dio nel 2003, ed è anche merito suo se oggi, accanto all’immagine della Creazione di Adamo, la prima figura che ci sovviene quando pensiamo al creatore è quella presentata in Una settimana da Dio (Bruce Almighty, 2003).
Negli ultimi giorni, in tutto il mondo, vi sono state diverse richieste di rimozione delle statue di personaggi storici legati al colonialismo, sfociate spesso in manifestazioni violente accompagnate dalla vandalizzazione e dalla distruzione delle statue medesime.
In realtà, con i dovuti accorgimenti, quelle statue potrebbero essere lasciate dove sono (modificandole con una targa, aggiungendo una scultura dedicata alle vittime o, persino, lasciando i monumenti vandalizzati, ma con criterio). Vediamo, ad esempio, cosa è accaduto alla statua di Indro Montanelli: giornalista, scrittore, fascista (in gioventù), xenofobo e stupratore di bambine.
La statua si trova a Milano, all’ingresso dei Giardini Pubblici Indro Montanelli. Al centro vediamo com’era in principio, a destra, come appariva dopo il corteo Non una di meno del 2019, mentre a sinistra, vediamo come si presenta il 14 Giugno 2020.
In entrambe le vandalizzazioni la statua è stata coperta di vernice. Ma c’è una differenza. Nell’ultima “rielaborazione” compaiono la scritta “Razzista stupratore” e il colore rosso del sangue. Nella prima, invece, il colore utilizzato non rappresenta la sofferenza delle vittime, bensì la loro vittoria, il fatto che non sono state dimenticate e che si continua a lottare affinché simili atti non si ripetano mai più, in nessun angolo del mondo: è più forte, ma meno violenta. Con ogni probabilità, se nel 2019 avessero ripulito soltanto la piattaforma su cui poggia la statua e avessero aggiunto una targa commemorativa sia dell’uomo, sia delle sue vittime, non ci sarebbero stati nuovi assalti.
È meraviglioso che tante persone manifestino il proprio disappunto per testimonianze storiche che non riconoscono come meritevoli di essere ricordate. Ma rimuovere tali testimonianze sarebbe sbagliato. Perché le esperienze negative di ieri, se ricordate con opportune contestualizzazioni, possono contribuire a migliorare l’oggi.