The man in the high castle, la storia con i se
A maggio si è completata, in Italia su Amazon Prime, la quarta stagione di The man in the high castle.
Avviatasi nel 2015 in America, (molto) liberamente tratta da un capolavoro della letteratura ucronica (La svastica sul sole di Philip K. Dick) la serie è stata prodotta da Ridley Scott, regista che rese universalmente celebre Dick con il suo Blade Runner, che mise sullo schermo Gli androidi sognano pecore elettriche?.
Nella sostanza libro e serie descrivono un mondo in cui, a causa di un evento in particolare – la morte di Roosevelt – gli USA non superano la Grande Depressione, vengono sconfitti dalle potenze dell’Asse e occupati da nazisti e Giapponesi. Lo spettatore, dunque, è calato in un mondo dove vigono leggi razziali e pratiche eugenetiche. Il Reich porta avanti esperimenti genetici e pratiche genocidarie in Africa e nel contempo avvia la colonizzazione dello spazio.
La serie, pure centrata su personaggi del romanzo reinventati liberamente, disegna varie sottotrame, alcune delle quali molto interessanti.
La differenza più macroscopica è l’innesto, nella serie, del concetto di multiverso: “viaggiatori” dimensionali portano da un altro mondo pellicole che mostrano come avrebbero potuto andare le cose con la vittoria degli Alleati. Questi filmati vengono diffusi da Howthorne Abendsen, che altri non è se non The man in the high castle. Nel romanzo, invece, Abendsen è l’autore del romanzo La cavalletta non si alzerà più, ispirato (letteralmente!) dall’I Ching, il libro cinese “dei mutamenti” che guida misteriosamente le azioni dei protagonisti.
Nel mondo descritto da Dick, America e Gran Bretagna sono potenze imperialistiche che paiono destinate a scontrarsi, dopo aver vinto insieme la guerra. L’idea del multiverso, dunque, appare solo e senza approfondimenti nel “viaggio” di Tagomi in un’America dei primi anni Sessanta in cui egli si sente spaesato e guardato con odio.
Molto diversi i “messaggi” delle due opere. Dick lavora sulle sue ossessioni, sulla inconsistenza del reale, sulla libertà degli individui all’interno di catene di eventi che li trascendono, lasciandoci con un finale aperto. Con esplicito ricorso alla saggezza orientale, apertamente ammirata, mette in scena la “conversione” dei personaggi principali. Questi, seppur in modi diversi, raggiungono una personale “illuminazione”, seguita al pentimento. Fondamentale risulta il ruolo attribuito alla bellezza, all’arte, alla scrittura. Da “gnostico riluttante”, che vede il mondo segnato ineluttabilmente dal Male, Dick affida ai singoli individui e ai loro faticosi e dolorosi processi interiori, l’unica Via percorribile.
La serie, invece, pare prodotto della “cattiva coscienza” americana. Pur con coraggio esibendo il collaborazionismo filonazista di molti americani , inventa letteralmente nuclei di resistenza (antinazista e antinipponica), totalmente assenti nel libro. Addirittura, nella quarta stagione immagina un partito di “Ribelli comunisti neri” nella costa Ovest! Rimane, malgrado la scelta di non dar voce all’interiorità dei personaggi (narrativamente fondamentale in Dick), la volontà di creare personalità complesse, rose dal dubbio sulle scelte da compiere, spesso spinte dagli eventi a scoprire parti nascoste di sé o costrette a “legami doppi”. Donne e uomini esitanti che entrano nel gorgo della storia, costretti spesso a scegliere il minore tra due orrori.
Fedele alla visione filosofica di Dick, la serie sembra dirci che il mondo è oscuro alla comprensione e, dunque, luogo impervio per scelte moralmente nette. Da questo punto di vista, assiale appare la scena (pur in contesti diversi) in cui Tagomi uccide, violando il suo impegno pacifista.
Nella serie, poi, l’ammirazione esplicita dello scrittore per il mondo orientale viene temperata.
Un altro tema forte di entrambe le opere è quello del falso, il cui correlativo oggettivo è il negozio di Childan (che vende oggetti “americani”, spesso dei falsi). Ma false sono quasi sempre anche le identità dei protagonisti. E, poi, quale dei mondi è quello vero? Quello che abitiamo, quello inventato da Abendsen guidato dall’oracolo, quello in cui viaggia Tagomi?
L’ucronia è genere ampiamente praticato nel Novecento. La Marvel, con la consueta capacità divulgativa, vi ha attinto a piene mani nella serie What if?, in cui immaginava vicende alternative per i propri super-eroi.
Su questa intuizione si basa una distopia-ucronia a fumetti, Vecchio Logan (2008), scritta da Mark Millar e disegnata da Steve McNiven, in cui si immagina che i villain – Destino, Teschio Rosso, Hulk incattivitosi per gli effetti delle radiazioni gamma – abbiano sconfitto e ucciso quasi tutti gli eroi e sottomesso l’America.
Il tema del multiverso, ripreso dalla DC Comics, è al centro dell’immaginario Marvel come si inizia a vedere anche a cinema in Spider-Man: un nuovo universo.
In realtà, il meccanismo alla base dell’ucronia viene utilizzato oramai ampiamente anche nell’ambito della storiografia accademica. Lo testimonia, ad esempio, il testo di Niall Ferguson (Virtual History: Alternatives and Counterfactuals, 1997), purtroppo non tradotto in italiano, e un’ampia bibliografia.
Il ricorso alla cosiddetta “storia controfattuale” all’interno della didattica della storia, in effetti, potrebbe avere vari benefici: prima di tutto stimolare la creatività degli alunni, spesso mortificata da un approccio meramente nozionistico. Domande come: «Cosa sarebbe accaduto se Garibaldi non avesse ceduto le terre conquistate a Sud a Vittorio Emanuele II?», come anche domande applicate alle proprie storie personali, fanno capire l’importanza dell’avvenimento in sé. Inducono, poi, una visione non fatalistica della storia, in cui le scelte degli individui appaiono realmente decisive. Insomma, ogni nostra scelta modifica il futuro possibile.
In questo senso, dunque, ci sentiamo di condividere lo spirito della quarta stagione de L’uomo nell’alto castello di contro alla pur nobile accettazione del reale alla ricerca di un tutto individuale satori dickiano. In tal modo la storia si farebbe nel contempo educazione filosofica, etica e politica. Pensare altri presenti ed altri futuri possibili (perché questo non è il migliore dei mondi possibili!): questo un compito possibile dell’ucronia. Anche per “educare alla rivolta” contro i padri, come il figlio di Kido e Jennifer, figlia di Smith, in cui confidiamo.
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Il disegno, come i precedenti che accompagnano i contributi di Nicola Sguera, è di Ferdinando Silvestri: laureato in fisica, ha capito da un pezzo che la sua strada è quella delle matite. Quando non disegna, divide la sua vita tra famiglia, karate e lettura.