Sette raccolte di racconti in serie TV
Sembra che stiano tornando di moda le serie tv formate da episodi scollegati l’uno dall’altro, indipendenti, cioè con la trama che si esaurisce all’interno dell’episodio stesso. Qualcuno le chiama “antologiche”, anche se con lo stesso aggettivo sono identificate pure le serie che cambiano setting tra una stagione e l’altra (come “True Detective”, “Fargo”, “American Horror Story” e così via). Ma non ho voglia di impantanarmi in dispute sui termini.
Nella storia della televisione a tubo catodico questo tipo di formato ha avuto una discreta fortuna, soprattutto per i telefilm (come si chiamavano una volta) legati al mistero. “Ai confini della realtà”, “Alfred Hitchcock presenta”, “L’ora di Hitchcock”, “I racconti della cripta” sembravano applicare alla televisione lo stesso tecnica della letteratura pulp: uscite frequenti e regolari per storie veloci, spesso di facile fruizione, con colpo di scena finale per non scontentare nessuno. Negli anni scorsi le edicole traboccavano di queste pubblicazioni.
Quando non scritti appositamente per il piccolo schermo dagli autori della serie, i racconti erano pescati nel gran calderone della short-story degli scrittori di genere (Bloch, Dahl, Matheson, Bierce, Bradbury, per citarne solo alcuni).
Di recente, dopo l’esperimento riuscito solo in minima parte di “Masters of Horror” nei primi anni duemila, questo tipo di serie sono tornate alla ribalta grazie soprattutto a “Black Mirror”.
Senza dilungarmi sulla serie di Charlie Brooker e sui suoi sfortunati epigoni fantascientifici, proverò a segnalarvi qualche altra serie antologica che, a mio modesto parere, è degna di una visione.
ROOM 104
Partiamo da “Room 104” (HBO) dei fratelli Jay e Mark Duplass, già padrini del mumblecore. Ogni episodio, di durata piuttosto breve, è ambientato nella stessa stanza dello stesso motel. Gli occupanti della stanza cambiano di volta in volta, così come l’impostazione, lo stile e il genere che spazia dalla comedy alla sci-fi, dal thriller al drama. Le puntate che consiglio di recuperare sono “Ralphie” (1×01), “Red tent” (1×10), “Artificial” (2×10) e “Prank Call” (3×09).
MODERN LOVE
“Modern Love” (Amazon) invece è tratta dalla rubrica omonima del New York Times e, come si può intuire, racconta il sentimento dell’amore nelle sue forme più disparate. Diretta da John Carney, sfrutta una scrittura smagliante, la scenografia dandy della Grande Mela e attori di rilievo. L’episodio “Prendimi come sono, chiunque io sia” (1×03) è senza dubbio quello che emoziona di più.
THE ROMANOFFS
“The Romanoffs” (anche questa Amazon) è meno riuscita. Creata da Matthew Weiner (Mad Men), la serie racconta le vicende dei discendenti, veri o presunti, della famiglia degli ultimi zar di Russia. In pratica si tratta di otto film dominati dai toni del dramma e della commedia, con una produzione di lusso che spesso compensa qualche pecca di scrittura. L’episodio “Capolinea” (1×07) è quello da non perdere.
LITTLE AMERICA
“Little America” (Apple TV+), serie di Lee Eisenberg, Emily V. Gordon e Kumail Nanjiani, racconta le storie reali, così come riportate dalla rivista Epic, di persone immigrate negli Stati Uniti. Condotta spumeggiante, dialoghi brillanti, inevitabili happy end, ma senza la benché minima autocommiserazione, lo show ha l’intuizione di far girare i singoli episodi da registi della stessa origine etnica dei personaggi, per innestare una marcia in più alla storia. Difficile scegliere un episodio migliore: forse l’apripista “The manager” batte di un soffio gli altri.
Love Death & Robots
Molto interessante l’esperimento di “Love Death & Robots” (Netflix), raccolta di cortometraggi di fantascienza d’animazione, alcuni dalla lunghezza davvero irrisoria, prodotta (tra gli altri) da David Fincher. Benché in alcuni casi sembra di assistere alla company demonstration di case di produzione di effetti speciali, più impegnate a meravigliare che a raccontare, la serie offre dei gioiellini di notevole valore, come “Zima Blue”.
Chiudiamo con due serie ancora non arrivate in Italia, ma che aspettiamo con trepidazione e che ci permettiamo di segnalare.
“Into the dark” (Hulu) è una serie horror prodotta da Jason Blum in cui ogni episodio, che esce a cadenza mensile, è ispirato a una festività. Nonostante abbia visto pochi episodi, e soprattutto non abbia una gran considerazione dell’operato della Blumhouse, vi segnalo “All That We Destroy” di Chelsea Stardust, che vale un’ora e mezza del vostro tempo. Naturalmente ciò fa ben sperare anche per gli altri episodi.
Sulla nuova incarnazione di “The Twilight Zone”, invece, non dovrebbero esserci dubbi. Primo perché siamo fan della serie di Rod Serling e diamo fiducia a prescindere, secondo perché al timone c’è Jordan Peele (“Get Out”, “Us”) che possiede una sua visione personale e caratterizzata di cinema della tensione, e potrebbe darci grandi soddisfazioni. Ne vedremo, quasi sicuramente, delle belle.