La Lombardia ha più contagiati della Cina, ma Fontana si dice soddisfatto
La Lombardia ha più casi di Covid-19 della Cina (88844 vs 84494) e oltre il triplo dei morti (15519 vs 4645), con una letalità apparente del 18,3% (quella cinese si assesta sul 5,5%). Un confronto che restituisce in maniera plastica e definitiva l’enormità di ciò che sta accadendo nella più popolosa regione d’Italia, al netto dei non affidabilissimi dati forniti da Pechino.
Eppure, nell’assoluta incuria di questi numeri terrificanti, dopo ingenti pressioni confindustriali, la fase due lombarda è partita in scioltezza. Nessun trattamento speciale. Nessun commissariamento. Tanto, l’overbooking delle terapie intensive è storia vecchia, la situazione, ormai, è perfettamente sotto controllo.
Il governatore Fontana non ha dubbi. Anzi, si dice soddisfatto di come l’ondata epidemica sia stata gestita dalla sua amministrazione, facendoci sapere di aver agito meglio rispetto ad altri suoi colleghi e rassicurandoci, candidamente, sulle sue ore di sonno quotidiane, non scompensate in alcun modo dal peso di qualche decisione inopportuna. Anche perché, a fidarsi delle prese di posizione ufficiali, nulla, ma proprio nulla, sarebbe stato sbagliato. E quando di mezzo c’è un’ecatombe, d’altra parte, l’esprimere soddisfazione per l’ottimo lavoro svolto non può non rappresentare l’ennesima prova, pure sul piano comunicativo, di come non siano stati commessi errori.
Tuttavia, nel ricordare che il contagio lombardo ha sorpassato quello cinese, cioè quello di una nazione di 1,4 miliardi di abitanti che per prima ha fronteggiato il coronavirus, qualche perplessità sul Fontana-pensiero ci pare quasi fisiologica. E non per il puro gusto di scompigliare il riposo del governatore della Lombardia, senz’altro profondo come quello del principe di Condé prima della battaglia di Rocroi, ma per trovare un esordio di concordanza tra narrazione politica e matematiche della morte. Magari, per capire meglio il concetto di “soddisfazione” una volta applicato a ciò che l’infettivologo Galli ha definito un “clamoroso fallimento”.
Stentiamo a credere, infatti, che 88844 lombardi si siano contagiati per suggestione, per una specie di effetto nocebo su grande scala in grado di disarmare l’efficiente risposta bellica allestita da Fontana. Né ci sembra plausibile l’aggrapparsi a un “poteva andare peggio”, date le circostanze: i camion dell’esercito stracolmi di bare per le vie di Bergamo li ricordiamo tutti.
Certo, la malattia avrà girato indisturbata a lungo generando una massa critica di infetti; nulla da spartire con quanto successo in altre regioni; i margini d’intervento si erano ridotti all’osso; qualunque sistema sanitario sarebbe collassato, eccetera, eccetera.
Ciononostante, con grande dispiacere e a costo di importunare l’unico italiano rimasto immune all’insonnia, ci riesce difficile non far notare una sequenza di opzioni gestionali discutibili che hanno contraddistinto l’azione politica del camomillico Fontana in questo drammatico frangente. Opzioni gestionali discutibili che, forse, qualche dannuccio qua e là potrebbero averlo provocato.
Come le mancate zone rosse, per esempio. Mancate per un soffio: se solo l’assessore Gallera avesse saputo di poterle mettere in pratica senza dover scaricare colpe sui decisori romani, con ogni probabilità, sarebbero state attivate tempestivamente. In altre parole: l’assessore alla sanità della Regione Lombardia non conosceva (!), per sua stessa ammissione, proprio quella legge che avrebbe consentito alla Regione Lombardia di istituire le zone rosse allo scopo di limitare il contagio. Fatalità.
Ma non è finita qui. Un’altra crepa nella strategia fontanesca per il contenimento dell’epidemia coincide senza ombra di dubbio con la controversa delibera sulle RSA di Cajazzo, direttore generale dell’assessorato alla sanità. Grazie alla quale le residenze sanitarie per anziani si sono trasformate prevedibilmente in luoghi di mattanza, con i soggetti a rischio per antonomasia sacrificati sull’altare della disorganizzazione: di fatto, la delibera non obbligava le RSA a ospitare i malati di Covid-19, ma obbligava le strutture disposte a ospitarli a disporre di un padiglione separato e di dispositivi medici idonei. Dispositivi medici idonei ai quali avrebbe dovuto provvedere, caspiterina, proprio il governo regionale, essendo diretto responsabile della sanità del territorio.
Infine, per chiudere la rassegna di ciò che poteva funzionare meglio, come non citare la desolante assenza di tamponi o l’ultimissima trovata del “soddisfatti o rimborsati” in base alla quale tutti potranno accedere al test, ma sganciando 60 euro (rimborsabili, non è uno scherzo, solo in caso di positività).
Insomma, diciamo pure, sic stantibus rebus, che l’appagamento di Fontana per il suo operato durante l’emergenza rimarrà per sempre uno dei più grandi misteri dell’universo.