Vaccinare l’Italia dall’odio per il lavoro autonomo
Festeggiamo i lavoratori mentre lo stato impone con la forza della legge di non lavorare a molti di loro, di noi. È il paradosso, uno dei paradossi, del primo maggio 2020.
Covid 19 verrà probabilmente tra l’altro ricordata come la malattia che ha completato l’opera di sgretolamento del lavoro piccolo imprenditoriale e professionale. I muscoli e le menti di commercianti, artigiani, piccoli produttori agricoli e industriali, professionisti, cioè di tutti i soggetti autonomi del tessuto produttivo nazionale animati dall’impulso creativo, già deboli per i colpi di una crisi lunghissima, oggi sono allo stremo.
Lavoro è capitale
Trasformazioni epocali connesse al progresso tecnologico e alla esasperazione di cicli e mercati finanziari, rigidità ideologiche, mutamenti sociali profondi hanno sovvertito per questa categoria di lavoratori la contrapposizione classica dei fattori della produzione e il loro rapporto di forza. Lavoro e capitale non sono da tempo né divisi né contrapposti né antagonisti nelle piccole realtà produttive. Per i soggetti economici di queste imprese il lavoro è il capitale, il capitale è il lavoro.
È emblematico che sull’abbrivio del terzo millennio la riforma del diritto societario italiano abbia riconosciuto l’apporto di lavoro quale possibile conferimento di capitale nelle società a responsabilità limitata, laddove sino a quel momento era ammesso solo il conferimento di denaro e di beni. La legge, dunque, ha preso atto già da tempo della (con)fusione capitale-lavoro, della nuova identità determinatasi tra fattori produttivi.
Stereotipi e vilipendio
L’identificazione lavoro capitale, però, non è mai stata letta, compresa, digerita dal tessuto sociale e intellettuale italiano, largamente refrattario all’etica della responsabilità tipica del lavoro piccolo imprenditoriale e professionale. Tutt’altro.
Le donne e gli uomini che hanno fatto della creatività, dell’abnegazione, del sacrificio, della propria opera il proprio capitale sono diffusamente vilipesi da stereotipi covati dal risentimento, pasciuti di ignoranza, ipocrisia, dogmatismo.
Il professionista e l’imprenditore, per piccoli e piccolissimi che siano, portano la bolla dei capitalisti furbi, usurpatori, ricchi, gaudenti, fortunati. Bisogna riconoscere oggi, primo maggio 2020, che l’Italia ha in odio questi lavoratori. Accolti con pregiudizio negli uffici, nelle associazioni imprenditoriali maggiori, dai sindacati, da larghi strati dell’opinione pubblica.
Virus, angoscia e burocrazia: il veleno
Questi lavoratori vivono oggi l’angoscia di una crisi che avrà un capitolo corposo nei libri di storia. I negozi, le botteghe, i laboratori artigianali, le piccole fabbriche, gli studi sono chiusi o semichiusi. Quando riapriranno si troveranno le strutture, le aziende, ma i commerci, gli affari, il business saranno decimati nella dimensione, malconci, incerti.
Mentre questo scenario avvilisce intere famiglie, lo Stato si attorciglia in procedure burocratiche che accrescono il peso di quell’angoscia, che schiantano un muro anche sulla volontà ferrea dei più prodighi e volenterosi.
Non bastasse, si induce l’indebitamento con l’amo del tasso basso e della garanzia pubblica. Come si pagheranno questi debiti se gli affari non saranno quelli di prima almeno nel breve e medio periodo? È lo Stato stesso che annuncia quarantene a singhiozzo, del resto.
Non sono necessari grandi conoscenze per sapere che l’incertezza è la peggiore infezione che possa contagiare l’economia e gli imprenditori, in specie i piccoli che non hanno di norma barriere frangiflutti tali da poter alleviare le spinte di burrasca.
Il vaccino del rispetto
In questo cupo scenario, i social esaltano il fondo del peggio dell’animo umano e italico. Il risentimento e il sospetto emerge nei post di chi chiede controlli sull’effettivo uso degli incerti e modesti sussidi statali (600 euro, 2000 euro).
Oggi si festeggia a parole il lavoro che questo paese odia e osteggia. L’Italia deve vaccinarsi ed emendarsi da questo sentimento negativo per rinascere. C’è solo una via possibile: rispettare, considerare, riconoscere, tutelare il lavoro di tutti. Tutti i giorni.
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