Quando anche un Nobel diffonde fake news…
L’emergenza planetaria somministra ansia a piè sospinto. L’ansia interferisce con i processi di comprensione, destruttura il pensiero, ci rende suscettibili, ci predispone ad accogliere interpretazioni della realtà che soddisfino il nostro fabbisogno psicologico, a prescindere da quanto siano coerenti, solide o verificabili, insomma, fa solo il suo lavoro. Così come fanno il proprio lavoro di captazione e riorganizzazione dell’ansia gli svariati predicatori del web, armati di un sapere orgogliosamente autodidatta, non dipendente da alcuna evoluzione curriculare.
Costoro, laddove il compasso giudaico-massonico tenta di tracciare circonferenze, sono sempre pronti a scarabocchiarne la realizzazione. Laddove bisogna “difendere la famiglia dall’agenda del totalitarismo sodomita”, non indietreggiano d’un centimetro. In sintesi, laddove c’è della paranoia da amministrare – e quando l’ansia aumenta la paranoia segue a ruota –, come posseduti dalle proprie opinioni, offrono cornici di senso, pescando connessioni nascoste, scimmiottando il rigore metodologico, fingendo sofisticate architetture deduttive.
Non a caso Freud definisce la paranoia, quintessenza di ogni teoria del complotto che si rispetti, come “la caricatura di un sistema filosofico”. Essa, infatti, non crede alle coincidenze. E, ai suoi massimi livelli, ribalta il panlogismo hegeliano in un pandiabolismo, l’intima razionalità del reale in un’intima diabolicità. Con mini-intrighini, intrigoni e intrigastri da distribuire a rate durante l’intero corso della Storia e da accompagnare con la progettualità di funesti demiurghi, più o meno intellegibili, più o meno soprannaturali.
Tuttavia, sebbene non esista ancora un’immunità di gregge rispetto a tali visioni del mondo fondate sulla paranoia e prive di evidenze, se ne può ugualmente contrastare la capacità di diffusione applicando i rudimenti del senso critico e ricordandone la dubbia provenienza. Gli strumenti di contrasto non mancano, persino in tempi prodighi d’ansia.
Completamente diverso, invece, è lo scenario in cui è un prodotto autorevole a soddisfare il vasto mercato del sospetto, come avvenuto di recente con le dichiarazioni rilasciate dal premio Nobel per la medicina Luc Montagnier, insignito della prestigiosa onorificenza per aver isolato per primo il virus dell’HIV insieme a Barré-Sinoussi.
In questo caso, pur non valendo in ambito scientifico l’ipse dixit (la scienza è attenta alle modalità d’esposizione di una tesi e non a chi espone), ossia il principio di autorità, nella percezione di chi riceve le informazioni, quando non filtrate, c’è il rischio di un attenuamento dello spirito critico.
Una volta che Montagnier, decisamente pratico di HIV, sostiene in diretta televisiva, appellandosi a un suo studio, che il genoma del Sars-Cov-2 presenta sequenze di HIV – prova inconfutabile di manipolazione genetica –, è evidente che l’effetto che sortisce sullo spettatore non è paragonabile all’effetto sortibile da un qualsivoglia pinco pallino complottista. E quando a difesa del proprio parere in controtendenza rispetto al parere ufficiale della comunità scientifica lo stesso Montagnier fa riferimento a pressioni occulte subite dai laboratori di tutto il mondo, lo spettatore è attraversato inevitabilmente da un brivido.
Per disinnescare quel brivido occorrerebbero approfondimenti. Approfondimenti che in pochi fanno, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per mancanza di voglia, vuoi per fiducia. Approfondimenti che, però, farebbero saltar fuori in un attimo le controverse posizioni del Montaigner 2.0, incline a curare il morbo di Parkinson con la papaya e a stabilire correlazioni tra l’autismo e i vaccini. Approfondimenti che suggerirebbero diffidenza nei riguardi dello studio del premio Nobel sul coronavirus, in quanto non firmato da lui e in quanto pubblicato da una rivista non scientifica, di quelle che si fanno pagare per le pubblicazioni, quindi non attendibilissime sulla revisione dei contenuti. Approfondimenti che smonterebbero senza mezze misure quelle fascinose opzioni complottiste di cui sopra che con un Nobel di mezzo rischiano di dilagare, rendendo ancora più difficile il compito di un’informazione dedita alla correttezza.
Morale della favola: la storia è sopravvissuta a Fukuyama, Dio è sopravvissuto a Nietzsche, i no-vax sopravvivranno alla preziose lezioni consegnateci dalla pandemia.