La Russia minaccia un giornalista italiano, il governo Conte non alza la voce
Nel fronteggiare il flagello pandemico, l’Italia, per fortuna, sta ricevendo consistenti aiuti dall’estero. Una gara di prodigalità che non ha trovato impreparate le tre superpotenze: Cina, Usa (in ritardo) e Russia. Solerti nel fornire risorse economiche, slogan, uomini, competenze e materiali. Forse, nella speranza di un aggiustamento delle nostre traiettorie geopolitiche, magari di un decadimento dell’orbita italica verso l’oggetto “celeste” dalla maggiore attrazione gravitazionale (con un’Europa, per DNA, così cincischiante e disunita nel momento del bisogno è tutto più semplice). Forse, a farsi prendere da un’ombrosa gratitudine, per trasformare il nostro paese in una specie di protettorato sanitario (tanto per iniziare), fantasia pornografica dell’euroscettico disinvolto. D’altronde, il soft power non dorme mai, neanche in piena emergenza, soprattutto in piena emergenza.
Ebbene, in questo clima di solidarietà internazionale, spesso non disinteressata (pelosa, direbbe qualcuno), un giornalista nostrano ha avuto l’ardire di vederci chiaro, raccogliendo testimonianze, ci assicurano, autorevoli e incassando reazioni decisamente sopra le righe, per non dire inquietanti. Per farla breve, stiamo parlando di Jacopo Iacoboni, firma di punta del quotidiano La Stampa, e di Igor Konashenkov, portavoce del ministro della difesa russo.
Iacoboni, in una sua recente inchiesta sulle forniture made in Russia, avvalendosi di fonti di “alto livello”, ha dichiarato, in primis, che l’80% del materiale sanitario inviatoci sarebbe del tutto inutile ai fini dell’allentamento dell’emergenza, un grande bluff. In secondo luogo, che, tra i medici militari russi, ci sarebbero alcuni infiltrati dell’intelligence putiniana. Ipotesi confermata da Hamish De Bretton-Gordon, ex comandante del Joint Chemical, Biological, Radiological and Nuclear Regiment e del battaglione NATO’s Rapid Reaction: “Senza dubbio tra loro ci sono ufficiali del GRU (direttorato servizi segreti)”.
Il fumantino Konashenkov, in tutto ciò, non l’ha presa benissimo. E sulla pagina facebook dell’ambasciata russa si è lasciato andare a toni poco affini a una sana dialettica democratica: “Per quanto riguarda i rapporti con i reali committenti della russofobia de La Stampa, i quali sono noti a noi, raccomandiamo loro di fare propria un’antica massima: qui fodit foveam, incidit in eam (chi scava la fossa, in essa precipita)”. In seguito ha aggiunto: “La Stampa segue le linee guida dei manuali di propaganda antisovietica, a quanto pare, non ancora marciti”.
Prima considerazione: un certo gusto della minaccia ai giornalisti rimane nell’aria nei palazzi affiliati al Cremlino, sarà colpa dei sistemi di ventilazione.
Seconda considerazione: che un portavoce della Difesa di un paese straniero possa permettersi intimidazioni di tale caratura, in veste ufficiale, nei confronti di un organo d’informazione italiano senza scatenare nell’immediato dure condanne e richieste di chiarimenti da parte dei nostri vertici politici è a dir poco stupefacente. Un segnale di debolezza internazionale, l’ennesimo, davvero allarmante. Soprattutto in assenza di smentite in merito alle potenziali ingerenze delle spie russe fatte emergere dall’inchiesta giornalistica.
L’unico timido sussulto è arrivato tramite una nota congiunta del Ministero degli Esteri e della Farnesina in cui, al termine di un inventario di tutti i materiali recapitatici (330.000 mascherine, 2 macchine per analisi tamponi, 10.000 tamponi, ecc.), ci si limita, in sintesi, a un “grazie per gli aiuti, ma rispettate la libertà di stampa”.
Vabbè. Accontentiamoci, poteva andare peggio. Potevano scrivere: “Scusateci, noi italiani siamo dei cretini. Però, cortesemente, evitate di intimorire apertis verbis i nostri giornalisti, loro non sanno quello che fanno”. L’uso del latino? Un omaggio a Konashenkov, estimatore della minaccia colta.