L’incredibile parabola mediatica di Paolo Ascierto
Sui social, sui giornali, in televisione, ci si accapiglia per individuare l’inopportuno tra Massimo Galli, direttore responsabile del reparto malattie infettive del Sacco di Milano, e Paolo Ascierto, oncologo e ricercatore dell’istituto Pascale di Napoli. In un momento in cui la solidarietà nazionale dovrebbe toccare picchi mai raggiunti. In cui la condivisione di informazioni mediche utili a governare il flagello “coronavirus” dovrebbe produrre festeggiamenti a qualunque latitudine. In cui l’isolamento domestico di massa, foriero di danni economici e psicologici, andrebbe ammorbidito e non elettrizzato.
L’AIFA(Agenzia Italiana del Farmaco), a tal proposito, dà ragione a Paolo Ascierto. Imputato di “provincialismo” dal collega Galli per aver rivendicato la paternità partenopea della sperimentazione del Tocilizumab – somministrato, di norma, per curare l’artrite reumatoide – nel limitare i danni polmonari causati dal Covid-19. Una sperimentazione importata dalla Cina, come riconosciuto esplicitamente in ogni dove, e messa a protocollo proprio da un’equipe del Pascale.
Striscia la notizia, invece, nell’intitolare “La figuraccia di Ascierto” il servizio dedicato alla querelle, dà evidentemente ragione a Galli. Il quale sostiene che il farmaco anti-artrite dal nome impronunciabile, sebbene non protocollato, sarebbe stato utilizzato anzitempo in quel di Bergamo: “Diamo ai cinesi quel che è dei cinesi” e (l’implicito) ai bergamaschi quel che è dei bergamaschi, che, forse, in queste tragiche ore, purtroppo, hanno ben altro a cui pensare.
Ovviamente, a una prima valutazione, di sicuro approssimativa, riesce difficile collocare la quota di provincialismo insita nella vicenda laddove Galli vorrebbe che fosse collocata. Anche perché, mentre sono anni che ci torturano gli scroti, magari a ragion veduta, con l’eccellenza sanitaria lombarda senza incontrare alcuna resistenza, per una volta che in televisione passa l’inaudito messaggio che persino nel tribolato Sud esistono eccellenze in campo medico-scientifico, piovono puntualissime disinvolte accuse di millanteria, peraltro, con una catastrofe in corso.
Galli non lo dice, ma il vero “reato” del quale sembra accusare il collega, svolta la parafrasi, è il reato di lesa maestà, in barba all’AIFA. Nessuno provi a suggerire al mondo che anche al di sotto della Linea Gotica le cose, ogni tanto, vanno per il verso giusto. Questo, dicevamo, a una prima valutazione e, aggiungevamo, senz’altro approssimativa.
Infatti, a una seconda valutazione, un po’ meno approssimativa, le dichiarazioni del luminare del Sacco, se considerate veritiere, sollevano perplessità alquanto gravi, traslando completamente il senso dell’intera vicenda.
Ma come? A Bergamo stavano sperimentando anticipatamente il farmaco protocollato dall’equipe del Pascale senza divulgare i risultati della sperimentazione? E per quale motivo, nel pieno di un’emergenza sanitaria epocale, l’intera comunità medica italiana non sarebbe stata informata?
Domande che prima o poi meriterebbero delle risposte. Così come meriterebbe una risposta a tono, e ci teniamo abbottonati, chiunque abbia provato a screditare, giornalista o non, un luminare dell’oncologia capace di equipaggiare, con la sua sperimentazione, l’intero comparto sanitario nazionale (ed europeo) di un’ulteriore linea difensiva nel contrasto all’epidemia. Oltretutto, in tempi rapidissimi.