La quarantena eterna
Ho le mie idee su quello che sta accadendo, e sono impopolari. Non sottovaluto il contagio, la pericolosità del virus; non discrimino le persone, pensando che, probabilmente, io non appartengo alla fascia a rischio, o la sfioro, mentre mia madre, i miei zii, mia suocera, ed altre persone a me care, ad esempio sì. Sarebbe molto stupido, oltre che inumano. Da cittadino, sto seguendo tutto quanto disposto dai decreti di questi giorni, stando in casa, coi miei, mentre mia moglie, che lavora in farmacia, deve recarsi al lavoro. Ma vi dico quello che ho capito. Poi mi sbaglierò, ma ho capito questo.
L’emergenza è sanitaria, i reparti di rianimazione in particolare sono al collasso. Il virus ha una sua aggressività, anche alta, ma è mortale solo se attecchisce in organismi già minati, o compromessi, o immunodepressi. So molto bene che cosa significa: mia sorella Stefania ebbe i polmoni divorati da un batterio del fieno, che a un organismo normale (mi spiegarono i medici) è indifferente, mentre per lei fu mortale, perché assumeva farmaci immunosoppressori dopo il trapianto di reni. E aveva vent’anni quando morì. Quindi capisco, sono lucido. Quindi è ovvio che è giusto contenere il contagio. Questa accortezza, verso gli individui a rischio, si dovrebbe avere sempre, anche in tempi di pace. Questa cosa, altrettanto ovvia, in tempi di pace sembra che del tutto ovvia non sia. Ma non è questo il punto.
La mia considerazione è politica, lascia il tempo che trova, ma interroga alcuni aspetti che ci stiamo ostinando a scansare. Oggi passano per salvatori della Patria (anche se i conti veri si faranno, come sempre, alla fine) molti di coloro che sono correi dello stato delle cose che ha procurato l’emergenza. Parlo di tutti, non faccio distinguo partitici, a costo pure del qualunquismo.
In questa emergenza, la soluzione di fermarsi, di chiudere il gregge nel recinto, è una vera soluzione? Anche perché, ragionevolmente, dovrebbe procrastinarsi fino a quando non sarà trovato un vaccino, e sento parlare di mesi, Burioni parla addirittura di un anno e mezzo. Visto che peraltro il virus, dicono, si proporrà ciclicamente, ed è destinato a non scomparire. Alcuni virologi dicono che diventerà “umano”, cioè ci rassegneremo ad esso come all’influenza stagionale. Ma nel frattempo?
Nel frattempo, non glisso sulle implicazioni sociologiche, e sui drammi sociali e lavorativi, di questa quarantena, che può essere cinicamente studiata anche come esperimento sociale, visto che sta rivoluzionando, o alterando in maniera forte, e in tempi molto compressi, il nostro modo di rapportarci con le persone, con le cose e pure con noi stessi: stiamo scoprendo, dicono, il valore del tempo, ma anche che il tempo, senza negotium, non passa mai.
Stiamo scoprendo l’acqua calda: che ci sono figure indispensabili ed altre no, che ci sono servizi di prima necessità e altri no, che ci sono beni di prima necessità e altri no. L’impressione, che sto vivendo sulla mia pelle, è che chi deve stare a casa, può stare a casa, perché tutto sommato non cambia niente. C’è un sospetto di inutilità della propria dimensione sociale e lavorativa che stiamo facendo finta di ignorare.
D’altra parte, stiamo scoprendo le potenzialità della Rete, anche se soffriamo, più di altre nazioni, il digital divide, non solo infrastrutturale ma anche cognitivo. Stiamo scoprendo che l’istruzione può anche essere e-learning. Che possiamo fare lo smart working, e altre cose così. Si sta poi riscoprendo una poetica del fanciullino che è in noi, dell’amore per la semplicità, che a volte è genuino, ma spesso (troppo spesso) anche retorico e populista. Sembra che stiamo vivendo, insomma, nel privato costretto delle nostre case, il sogno realizzato della decrescita felice, mentre fuori c’è un inferno di silenzio e un nemico non visibile.
Non glisso neanche sulle implicazioni costituzionali ed etiche, che sempre mi affascinano. Il dibattito che mi pare profilarsi è quello su diritto alla vita (più precisamente, diritto alla salute) e diritto alla libertà, entrambi tutelati dalla Costituzione. Il problema è che allo stato attuale i principi fondamentali confliggono, e quando confliggono si crea una situazione di zugzwang, si direbbe nel gioco degli scacchi. Si è costretti a muovere, ma qualsiasi mossa è destinata alla sconfitta.
È quello che succede all’etica, quando si trova nelle situazioni limite. Quando l’etica si trova di fronte ad un dilemma estremo non può scegliere, si ferma. Ma in realtà, l’etica non può scegliere perché la scelta non appartiene all’etica, perché l’etica ragiona per assoluti, e gli assoluti vanno bene in epoca di pace. La situazione è quella del trolley problem. Un tram si trova ad un bivio: imboccando un binario, ucciderà una persona, imboccando l’altro ne ucciderà cinque. Che cosa deciderà il conducente? L’etica non può rispondere, perché l’etica non ragiona per numeri. Può rispondere però la politica, ma non perché sia più cinica. Può rispondere e decidere la politica perché la politica ha il dovere di rispondere e di decidere in situazioni come queste, altrimenti non avrebbe senso d’essere.
Reputo la decisione di Boris Johnson, e del Governo inglese, una scelta politica. Almeno la decisione attuale. Probabilmente, in seguito, su pressione dell’opinione pubblica, nazionale ed internazionale, tornerà sui propri passi. Ma oggi lì decidono per l’immunizzazione di gregge, e parliamo del Regno Unito, non dell’ultima periferia del mondo. Beninteso, sempre di gregge si tratta. Si decide se tenerlo nel recinto, oppure se immunizzarlo, anche a costo di vite, costo che ci sarà ed anche alto, e loro se ne dicono consapevoli.
Burioni afferma che parlare di immunizzazione, allo stato attuale, è pura fantascienza. Patrick Vallance, accademico di riferimento a Downing Street, afferma l’esatto contrario. L’OMS esprime dubbi. Quindi non lo so. Attenzione, non dico che quella di Johnson sia una decisione giusta, e la nostra (peraltro condivisa da altre Nazioni) sia sbagliata, non sono in grado di valutarlo: dico però che, per me, è una scelta politica legittima, con tutti i suoi rischi consapevoli, annessi e connessi, anche di fronte alla Storia. E non lo dico in spirito anticampanilistico o antiumano.
La politica deve guardare al lunghissimo periodo, e non lasciarsi ‘distrarre’ dalle urgenze e dall’etica. Non deve farsi spaventare, né essere spaventata, né (peggio) spaventare, anche nella semplice comunicazione, soprattutto quando istituzionale. La politica ha il dovere di dire le cose come stanno, di ragionare sui fatti, sui numeri. E ha il dovere di trovare soluzioni, guardando non ai singoli, ma alla comunità; e non solo alla comunità presente, ma anche e soprattutto a quella futura. Umanamente, questa cosa fa rabbrividire, ma è compito della politica, della sua laicità non a chiacchiere, prendere decisioni anche, nell’immediato, inumane e dire cose anche, nell’immediato, terribili. Certo, va valutato il caso particolare.
Amici, giustamente, mi fanno notare che la decisione di BoJo s’innesta nella problematica della Brexit, e quindi è, nella pratica, quasi obbligata, per non incorrere in un crack definitivo. Ma questo aggiunge, a mio parere, contenuto politico alla scelta.
È tutto così complesso, troppo difficile. Spero di non essere frainteso. Cerco di riassumerlo con un’espressione paradossale, forse più diretta e comprensibile, ma anche provocatoria: se per risolvere le emergenze, non solo ma soprattutto sanitarie, basta o occorre fermarsi e chiudere il superfluo, allora qui da noi sarebbe opportuno decretare la quarantena eterna. L’auspicabile contrario sarebbe trovare soluzioni ragionevoli e plausibili. È compito della politica, che per questo si è candidata e si è fatta eleggere, trovarle.
Non ci sono alibi.
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