La scuola travolta e trasformata dall’emergenza
La scuola italiana è stata colpita da un’onda d’urto di enorme portata a partire dal 6 marzo sull’intero territorio nazionale (già da quasi due settimane nelle regioni più colpite dal Covid-19) con la sospensione delle attività didattiche in presenza.
Per chi ha vissuto “dall’interno” gli avvenimenti (studenti, dirigenti, docenti, genitori, persona ATA) sono stati dieci giorni che hanno sconvolto un mondo più di ogni altro fondato sull’abitudine, sulla routine, e che, quando conosce trasformazioni, lo fa in maniera estremamente graduale (troppo talvolta).
Sospesa l’attività didattica da due diversi DPCM a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, ad ora fino al 3 aprile ma realisticamente, stante la gravità dell’emergenza, ben oltre (alcuni ipotizzano la metà di maggio…), ci si è dovuti letteralmente “inventare” un’altra scuola senza avere né la formazione adeguata né gli strumenti.
Molti dirigenti e molti docenti li ricorderanno come giorni di lavoro intenso, snervante e stressante, venute meno tutte insieme le “coperte di Linus” cui aggrapparsi (l’orario, il giorno libero, i metodi didattici, la firma del registro et cetera). Tre le reazioni: alcuni – terrorizzati dal mondo digitale e dalla rete – si sono chiusi quasi a riccio a qualunque novità, limitandosi, spesso obtorto collo e invocando i propri diritti, a minimi adempimenti burocratici (fare il cosiddetto assegno agli alunni), altri, adusi al web, hanno avviato (o proseguito) pratiche didattiche innovative, utilizzando i più vari strumenti (Skype, ad esempio, si è rivelato particolarmente prezioso). Ma la categoria più interessante e, sebbene la parola rischi di apparire abusata e offensiva per chi è esposto al rischio della vita, “eroica”, è quella di chi, superando paure, remore, insicurezze, mettendosi in discussione e sottoponendosi in tempo reale ad un corso di aggiornamento intensivo (learning by doing!), scontando la frustrazione e il fallimento, è riuscito a non limitarsi al “compito” ma a preservare quell’organismo delicato e prezioso che è la classe, intesa come comunità discente che si forma non solo (e non tanto) in conoscenze e competenze ma soprattutto nella relazione.
Per una volta, in due documenti della burocrazia scolastica vediamo come si è focalizzata l’esigenza principale da soddisfare. Scrive la Franzese, dell’Ufficio Scolastico Regionale Campano: «Si richiama l’opportunità di svolgere le attività di apprendimento a distanza avendo cura di valutare le situazioni e le necessità pratiche degli studenti al fine di tutelarne i ritmi di vita quotidiana e di apprendimento, assicurando contemporaneamente semplici forme di contatto, sebbene virtuale, che rimandino alla dimensione comunitaria e relazionale del gruppo classe».
Nella stessa giornata, Giovanni Boda del MIUR, scrive a chiusura di una nota sulla DaD: «Giova allora rammentare sempre che uno degli aspetti più importanti in questa delicata fase d’emergenza è mantenere la socializzazione. Potrebbe sembrare un paradosso, ma le richieste che le famiglie rivolgono alle scuole vanno oltre ai compiti e alle lezioni a distanza, cercano infatti un rapporto più intenso e ravvicinato, seppur nella virtualità dettata dal momento. Chiedono di poter ascoltare le vostre voci e le vostre rassicurazioni, di poter incrociare anche gli sguardi rassicuranti di ognuno di voi, per poter confidare paure e preoccupazioni senza vergognarsi di chiedere aiuto».
L’esperimento in atto ha enormi criticità ben chiare a chi vi sta partecipando, ma è destinato in ogni caso a trasformare radicalmente il modo di fare scuola. È probabile che molti degli strumenti che stiamo imparando ad utilizzare, infatti, verranno (come era auspicabile che accadesse) integrati nella didattica ordinaria, non per sostituirla (come purtroppo accade ora) ma per completarla.
La psicologia Daniela Lucangeli, nello Speciale del «Sole 24 Ore» del 14 marzo («Il prof ti viene a prendere attraverso la webcam»), parla di «evento epocale»: «È la prima volta che non sono i ragazzi ad andare a scuola, ma è la scuola che va ai ragazzi. […] Questo cambia completamente il meccanismo di significato con cui viene letta, perché la tecnologia, invece di essere qualcosa che sostituisce la presenza del professore, è qualcosa che consente la presenza del professore».
I filosofi parlerebbero di “eterogenesi dei fini” o di “astuzie della ragione”… Ex malo bonum. L’augurio è che in ogni ambito dell’umano, dopo decenni di “pensiero unico” fondato sull’assunto thatcheriano (del 1987) secondo il quale «la società non esiste» (da cui sono derivate politiche scolastiche promesse dall’Unione Europea centrate soprattutto sul primato dell’economico a partire dal celebre Libro bianco di Delors e dalla sua appendice dedicata alla scuola del 1995) ciò che avremo imparato sia la centralità della relazione. La scuola del futuro, insomma, che sta cercando di “fare rete” a distanza, sia il luogo in cui prima di ogni cosa si formi la consapevolezza di essere cittadini di una comunità solidale e non individui ben addestrati al lavoro e al consumo compulsivo.
Il disegno è di Ferdinando Silvestri – laureato in fisica, ha capito da un pezzo che la sua strada è quella delle matite. Quando non disegna, divide la sua vita tra famiglia, karate e lettura.