Coronavirus: Boris Johnson e la strategia del non fare niente
In tanti sostengono che il nostro attuale governo sia il peggiore dei governi possibili nella peggiore delle situazioni possibili. Quei tanti, evidentemente, perdono di vista l’alternativa, che non è astratta, ma concreta. A esser precisi, l’asse Salvini-Meloni. Cioè, il peggiore dei sovranismi possibili in un quadro storico in cui i sovranismi di governo alle prese con la pandemia o fanno di tutto, quando va bene, per minimizzare il problema (Trump e Bolsonaro) o non fanno proprio niente, quando va male, per affrontarlo (Johnson).
L’Oms, che è super partes ed è il massimo organo competente in materia di salute pubblica, dà ragione all’operato di Conte, indicandolo come modello da seguire. Dello stesso parere la stragrande maggioranza dei virologi. E fidarsi, date le circostanze, ci sembra doveroso, non essendo la microbiologia il core business del 99,9% delle teste, compresa la nostra, coinvolte nel dibattito sulle misure di contenimento.
Anche perché agire altrimenti, magari togliendo il guinzaglio all’incedere del contagio, visti i numeri e le curve di progressione, significherebbe sacrificare, come minimo, migliaia di vite sulla base di una mera ipotesi. Quella secondo cui l’immunità di gregge si otterrebbe solo se il 60% della popolazione contraesse la malattia.
Ipotesi, peraltro inverificabile, sulla quale, però, il primo ministro britannico Boris Johnson, nella gestione dell’emergenza, sta fondando ugualmente la sua intera linea strategica.
Prendendo forse spunto da un’edizione apocrifa dell’Arte della guerra, il biondissimo premier ha infatti deciso che il non fare niente funzionerà alla grande. Che il male minore non è l’indiscriminato barricamento domestico, bensì la morte calcolata di centinaia di migliaia di brittanici (lietissimi, immaginiamo, di questa soluzione). Che l’economia del Regno Unito, già funestata dalla Brexit, non potrebbe sopportare il peso di una frenata produttiva.
Insomma, una governance emergenziale di indirizzo quasi fatalistico, ratificata, come se non bastasse, dal placet di Patrick Vallace, autorevole consulente scientifico di Boris Johnson. Gli uomini giusti al momento giusto. Pochi dubbi.
Ma ancor più acuta della strategia si è rivelata la comunicazione, diremmo tranchant, della strategia: “Abituatevi a perdere i vostri cari”.
In risalto, l’estremo saluto alle illusioni collettive. Di fianco, la mostruosità retorica. Il rivolgersi unicamente ai futuri sopravvissuti e non a quei “cari” che, per colpa di una certa ostinazione biologica, guarda un po’, non hanno tutta sta gran voglia di crepare patriotticamente.
Ricapitolando, una preziosa lezione, l’ennesima, consegnataci da questa crisi mondiale: il populista, nel mettere alla prova il proprio battagliero titolo politico, quando il gioco si fa duro, fallisce miseramente.
Il popolo da difendere, senza mezzi termini, diventa il popolo da sacrificare per il bene del popolo. Macelleria medica, anagrafica, darwiniana, socio-ingegneristica, chiamatela come volete. L’abominio non si sposta di una virgola. E dove la logica politico-morale frana, ribadiamo, la scienza e l’eventuale organizzazione della risposta sanitaria non forniscono alcun sostegno.
Sul piano scientifico, sebbene i primissimi promettenti studi mostrino la tendenza a non recidivare della malattia, ci sono ulteriori verifiche da compiere e ci vorrà tempo per avere risultati definitivi. Inoltre, il vaccino, cioè l’unico fattore che può davvero determinare un’immunità di gregge, è tutt’ora in mente dei.
Sul piano della risposta sanitaria, invece, lo scenario da medicina di guerra che si andrebbe a delineare nelle strutture ospedaliere con un’epidemia lasciata libera di scorrazzare sarebbe apocalittico: sovraccarico di pazienti, qualità dell’assistenza in picchiata per carenza di personale e di macchinari, medici costretti a compiere scelte drammatiche.
Bell’affare i difensori del popolo. Soprattutto per quella fetta di popolo che solitamente li premia, gli anziani.